Lirica
LA FILLE DU RéGIMENT

Con i ricordi di una vecchia signora, dopo quasi cinquant'anni “La fille du régiment” torna alla Fenice

La fille du régiment
La fille du régiment © Michele Crosera

Un'anziana signora vive in una casa di riposo, attorniata dalle sue cose e dai ricordi d'un tempo. Giungono in visita i suoi cari ed ai piccoli, curiosi bisnipoti narra della sua gioventù, di quando – esuberante vivandiera del glorioso 21me Régiment – durante la Seconda Guerra Mondiale conobbe e sposò il suo amato Tonio. 

Comincia così, con un video in b/n proiettato sul palcoscenico accompagnato, a mo' di colonna sonora, dalla brillante ouverture La fille du régiment di Donizetti. Opera in felice equilibrio fra vis comica e languido sentimentalismo, assente dal Teatro La Fenice da quasi cinquant'anni: la precedente edizione, infatti, nel remoto 1975. Con due autentici miti, Mirella Freni ed Alfredo Kraus.

GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA

La Madonna, un abat-jour, un orologio a cucù

Il sipario idealmente poi si apre e l'immagine si allarga sul suo comò, dove fra una statuetta della Madonna di Lourdes, un abat-jour ed un orologio a cucù, e fra le medicine da prendere alla sera, spuntano tanti personaggi minuti come topolini: variopinte figurine in costume tirolese, la marchesa di Berkenfield ed il suo chauffeur, soldatini sciatori al comando di Sulpice. 

Ed infine ecco Marie, che alla guida di un rombante sidecar consegna le vettovaglie per i suoi mille e passa padri putativi. Sullo sfondo, un quadro con un paesaggio montano, per ricordarci che ci troviamo tra le Alpi austriache. Nel secondo atto poi la scena si sposta di poco, dall'altra parte del cassettone.

Tre firme per un incantevole spettacolo

E' la geniale accoppiata formata da André Barbe, regista/coreografo, e da Renaud Doucet, scenografo/ costumista – in arte Barbe & Doucet – a firmare ogni aspetto di questo inedito, incantevole allestimento del capolavoro donizettiano coprodotto con il Regio di Torino.

Uno spettacolo che procede leggero, pervaso di fine poesia e di un garbato, simpatico, finissimo humour. Dalle fascinose scenografie ai graziosi abiti, indovinato in ogni sua componente; e in più cosparso a piene mani di piccole ed aggraziate invenzioni registiche, che rendono vivido lo spettacolo. Una per tutte, Marie compassata ballerina di una boite à carillon nella sua prigione dorata di Berkenfiled.

Analoghi pregi li troviamo sul versante musicale. Vuoi poiché ci troviamo di fronte un'orchestra in gran spolvero, più leggera e vaporosa del consueto. Vuoi perché dal podio Stefano Ranzani contribuisce al seducente clima generale con una perfetta concertazione: nitida e sfavillante nel ritmo, incline alla sentimentalità là dove serve, colorita nei timbri strumentali, ovunque ricca di belle sfumature. E sopra tutto dall'intonazione amabilmente boulevardiére, quasi che il maestro milanese si cimentasse con una vorticosa operetta di Hervé o di Offenbach.

John Osborn e Maria Grazia Schiavo

Due protagonisti perfetti

Poi c'è la Marie incantevole – sia nella ben rifinita vocalità, sia nella resa del carattere – di Maria Grazia Schiavo, interprete briosissima e frizzante. Simpatico e malizioso maschiaccio allevato fra colpi di cannone e rulli di tamburo, epperò sotto sotto fanciulla pronta a divenire tenera ed affabile con chi l'innamora. Per questo, graziosamente comica nei duetti con Sulpice e Tonio, assennata ed affettuosa nei momenti introspettivi come «Il faut partir» e «Quand le destin».

John Osborn è chiamato a ripetere in Laguna l'exploit di un anno fa al Donizetti Festival di Bergamo; e in effetti il suo Tonio gli riesce – pur raggiunta la cinquantina – fresco e giovanile, esuberante ed espressivo al massimo. Sorretto, ça va sans dire, da una vocalità di qualità singolare, splendida nei timbri e dal fraseggio sinuoso, scintillante nei liquidi do sparati a raffica in «Ah! Mes amis». Ma anche intimamente lirica e distesa nella sognante aria «Pour me rapprocher », ricamata con finissima grazia.

Marisa Laurito

La comicità affabile di tanti personaggi

Armando Noguerra porta in scena un Sulpice bonario, dal carattere mai caricato, sostenuto da una quell'attraente linea vocale di stampo squisitamente francese che gli è propria. La Marquise de Berkenfield di Natasha Petrinsky viaggia sul filo d'una calibrata, sobria comicità; Guillaume Andrieux è uno snodato e spassoso Hortensius. Marisa Laurito interpreta con buona vena comica la Duchesse de Crakentorp, crocerossina ormai agée pronta a dispensare corroboranti iniezioni a tutti. 

Ma quando, accompagnata solo da una fisarmonica canta con appena un fil di voce «Arrivano i nostri» - hit Anni '50 di Clara Jaione, che ben poco c'entra col resto – restiamo un po' basiti. Comprimari impeccabili: Dionigi D'Ostuni (un paysan), Matteo Ferrara (un caporal), Federico Vazzola (notaire). Ottima prova del coro veneziano, diretto da Alfonso Caiani.

Visto il 14-10-2022
al La Fenice di Venezia (VE)