Lirica
LA FILLE DU RéGIMENT

Milano, teatro alla Scala, “L…

Milano, teatro alla Scala, “L…
Milano, teatro alla Scala, “La fille du régiment” di Gaetano Donizetti LA FIGLIA, MA SOPRATTUTTO IL GENERO DEL REGGIMENTO Donizetti scrisse “La fille du régiment” in pochi mesi a Parigi e, nonostante la celebre stroncatura di Berlioz, rimane uno dei capolavori dell'epoca, soprattutto nell'overture, con il corno solitario a cui fanno eco il flauto e l'oboe, mentre un brivido corre lungo la schiena degli ascoltatori. E' un'opera di stile francese, caratterizzata dalla presenza di dialoghi recitati a collegare un brano musicale all'altro. Non c'è dubbio che, quando canta Diego Flòrez, questa opera dovrebbe essere intitolata “Il genero del reggimento”, considerato che il tenore limenho trascina le folle in una sorta di delirio e sposta appassionati in giro per il mondo in attesa delle sue esecuzioni entusiasmanti. Flòrez ha bella voce, estesa e limpida come il cielo in un mattino primavera, squillo potente, facilità all'acuto, ottimo fraseggio. Affronta Tonio con talmente tanta sicurezza che a tratti diventa quasi superficialità, come se il personaggio fosse così “normale” per lui da cantarlo con poca partecipazione emotiva. Questo è particolarmente evidente nel duetto del primo atto e, ancor più, nella splendida aria “Pour me rapprocher de Marie”, anche se il canto è sempre corretto (non così a Genova l'anno scorso, al Carlo Felice la sua esecuzione di questa aria è stata da manuale nella recita a cui io ho assistito). Invece l'aria che tutti aspettano, “Ah! mes amis” non è stata bissata, nonostante il “furor di popolo”: al termine dell'esecuzione è letteralmente venuto giù il loggione, trascinando palco e platea in entusiasmo raro a vedersi nei teatri lirici e da augurarsi sempre più spesso. Accanto a lui bene ha figurato Désirée Rancatore, ottima interpretazione attoriale della vivandiera, voce piccola ma di un colore sublime soprattutto in quelle incredibili bruniture, estrema facilità all'acuto, estensione con pochi uguali, duttilità, tenuta di fiati. Per tutto il primo atto il pubblico è rimasto piuttosto freddo alla sua interpretazione, poi invece si è scatenato alla fine di “C'en est donc fait”, con uraganici applausi e ripetute richieste di bis, anche qui non accolte. Corretto il Sulpice dell'inossidabile Alessandro Corbelli, come l'Hortensius di Francis Dudziak. Straordinaria Francesca Franci in quel cavallo di battaglia che è per lei la marchesa (suona davvero il piano durante la lezione di musica, e benissimo). Nel ruolo interamente recitato della duchessa Anna Proclemer ha fornito una prova indimenticabile: presenza scenica che attira lo sguardo, bravura da “mostro sacro”, anche nel calcare i risvolti comici della rappresentazione. Con loro Guido Loconsolo (un caporale), Sergio Spina (un paesano) e Stefano Benedini (il maestro di ballo). Yves Abel ha diretto l'orchestra scaligera con mano leggera ed il coro ha partecipato in modo attivo anche al tifo per i cantanti, sbattendo rumorosamente sulle tavole del palco prima i fucili (durante gli applausi a Flòrez per “Ah mes amis”) e poi i piedi (durante gli applausi alla Rancatore per “C'en est donc fait”). L'allestimento è quello storico del Massimo di Palermo del 1959, che però appare oggi datato e polveroso, con i costumi colorati e le scene “fumetto” di Zeffirelli disegnate sui teli. La regia di Filippo Crivelli è poco incisiva e contribuisce a far apparire datato l'allestimento e stereotipati i personaggi, sebbene i tagli alla partitura e le riscritture sono azzeccate. Visto a Milano, teatro alla Scala, il 3 marzo 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)