Trieste, teatro Verdi, “La fille du régiment“ di Gaetano Donizetti
LA FILLE COMIQUE
Nella Fille du régiment, appositamente composta per l’Opéra Comique (dove conobbe grande successo e lunghissima programmazione), Donizetti riuscì, nonostante le feroci critiche di Berlioz, ad assimilare il linguaggio stilistico francese e il particolare equilibrio fra parti recitate e cantate, fondendolo col melodizzare italiano e facendo inoltre coesistere aspetti comico-parodistici con una vena sentimentale-elegiaca. Rispetto ad altre opere comiche di Donizetti la “Fille” è meno apprezzata per la trama debole e la musica infarcita di rataplan e ritmi militareschi, ma in teatro il giudizio può essere rivisto, a condizione che si rispetti la sua vocazione originale di opera briosa, trascinante e leggera. Come nella produzione ora in scena a Trieste, nel nuovo allestimento di Davide Livermore, che coniuga eccellenza vocale e divertimento con una regia equilibrata, dal brillante ritmo teatrale, che coinvolge il pubblico dall’inizio alla fine.
Sulle note della spumeggiante ouverture ripercorriamo l’antefatto, risolto con una serie di istantanee che affiorano dal buio, scenette non prive di bonaria ironia in cui vediamo la Marchesa prendere commiato dalla culla, flash di guerra e di rovine con tanto di fuochi scoppiettanti, l’orfanella salvata dai burberi militari, l’evoluzione di Marie da mocciosa dispettosa a mascotte irresistibile e impertinente.
Lo scenografo Pier Paolo Bisleri ricrea sullo sfondo una stretta gola rocciosa sviluppata in altezza che lascia intravedere nella parte più alta idilliaci paesaggi alpini, due piattaforme dal profilo sinuoso ricoperte da un manto erboso si congiungono in primo piano formando la vallata in cui si dipana la vicenda. Alla fine del primo atto calano un immenso lampadario a gocce e una griglia che abbozza eleganti architetture sullo sfondo per “intrappolare” Marie nell’aristocratico mondo dei salotti parigini.
Gli accurati costumi di Giorgio Falaschi, colorati abiti tirolesi, eleganti tartan in bianco e nero per la raffinata marchesa, i colori della bandiera francese per Marie e il reggimento donano un tocco di colore e brio all’essenziale impianto scenico.
Lo spettacolo, dalla comicità immediata e bonaria, diverte davvero, come del resto si divertiva il pubblico borghese dell’Opéra Comique all’epoca, senza scadere nel plateale, dando giusto risalto al parlato, alla gestualità, agli elementi extra –partitura che vivacizzano l’opera in un susseguirsi di gags mutuate da film comici “cult” (Frankenstein Junior per esempio), quando cavalli fuori scena nitriscono al nome di Krakentorp, o la protesi del braccio perso in guerra da Sulpice scandisce con il suo cigolio meccanico e il gesto incontrollato il susseguirsi delle situazioni drammatiche e musicali.
Tutti i personaggi, anche quelli minori, sono divertenti e ben caratterizzat. Fra tutti spicca la Marie di Eva Mei, assoluta protagonista per freschezza vocale e interpretativa, capace di reggere il confronto con interpreti di riferimento del ruolo. Vivace e al tempo stesso delicata, come richiedono le pagine di malinconico lirismo , è un maschiaccio irriverente che s’infila le dita nel naso e “stona” la lezione di canto con ironia, salvo poi rivelare un’anima sensibile nel sublime “Il faut partir”. La linea di canto è duttile, perfette le agilità di una voce che risuona corposa nei momenti più struggenti e luminosa e piena di vigore nel patriottico “Salut à la France”.
Pienamente convincente anche Antonio Siragusa, un Tonio di timbro chiaro e squillo argentino che, con grande musicalità, tecnica e intelligenza risolve con sicurezza la girandola dei nove “do“ bissandola senza esitazioni, i soldatini crollano come birilli sotto gli acuti e la prodezza vocale si fa gioco e ironia. Nessun virtuosismo sterile, è la spontanea comunicativa che regala a Tonio la tenerezza e il lirismo che scaturiscono nella delicata “ Pour me rapprocher de Marie “, a rendere vitale un personaggio che ricorda il candore impacciato di Nemorino e prefigura lo slancio di Ernesto.
Paolo Rumetz diverte nel ruolo di Sulpice, a cui dona brillante verve comica, sfruttando al massimo la gag della mano meccanica smarrita nei luoghi meno opportuni, come quando rimane incastrata sotto il sedere della sussiegosa Marquise de Birkenfeld (Alessandra Palomba ) mentre strimpella al pianoforte e snocciola con buona dizione i suoi couplets. Manrico Signorini è un Hortensius divertente e pasticcione, Massimiliano Borghesi è il rampollo Krakentorp gay e mammone. Grande consenso per Ariella Reggio, beniamina del pubblico triestino, nella parte di una Duchesse de Krakentorp, odiosa ed esilarante, le cui battute sono state puntualmente salutate da risa e applausi.
Gérard Kostner dirige con giusto brio e levità l’Orchestra del teatro Verdi, restituendo la vitalità della partitura senza scadere in sonorità bandistiche, riuscendo ad assecondare i solisti nei cantabili per dare pieno rilievo alle effusioni elegiache. Di ottimo livello la prova del coro preparato da Lorenzo Fratini per precisione e buon gioco scenico.
Un pubblico molto caloroso, sempre più coinvolto e convinto, ha compensato i numerosi posti vuoti (forse dovuti al posticipo serale dello spettacolo per evitare la concomitanza con il Giro d’Italia); all’uscita un’atmosfera divertita e gioiosa continuava ad aleggiare nell’aria.
Visto a Trieste, teatro Verdi, il 10 Maggio 2009
Ilaria Bellini
Visto il
al
Verdi
di Trieste
(TS)