Firenze, teatro Comunale, “La forza del destino” di Giuseppe Verdi
LA STESSA FORZA, LA STESSA GABBIA
“La forza del destino” è stata presentata a Firenze nella versione scaligera del 1869 e non nell'originale pietroburghese del 1862, come a Genova nel maggio scorso. Eccellente la lettura che ne ha dato Zubin Mehta, una lettura morbida, coi giusti tempi, un suono sempre controllato, intimo e vibrante. A cominciare dall'overture, stavolta suonata sì all'inizio (e non come al Carlo Felice alla fine del primo atto). Il Maestro ha a disposizione un'orchestra ottima, in ottima forma e con ottimi solisti, un'orchestra che lui conosce bene e che lo segue alla perfezione. Suscitando nel pubblico tante emozioni, a cominciare da quel tema del destino così ricorrente nei quattro atti. La sinfonia è un concerto in sé, i violini sfavillanti, i fiati sognanti, un suono dall'anima e per l'anima. Poi il primo atto di archi morbidissimi in lamenti struggenti a preavvertire quel destino incombente come la roccia della scena. E avanti, senza sbavature, fino in fondo, coi suoni impalpabili e vellutati.
La scenografia è tradizionale; Ezio Frigerio ricrea tutti gli ambienti previsti nel libretto e mette come sfondo uno schermo con immagini di cieli corruschi e plumbei, nuvole che corrono, come le onde del destino. Perfetti i costumi vagamente “macchiaioli” di Franca Squarciapino con evidenti rimandi alla Spagna, costumi tutti curatissimi nei dettagli, finanche quelli del coro e delle comparse. La regia di Nicolas Joël ha accompagnato i cantanti secondo le indicazioni del compositore ed ha convinto, sebbene un po' statica, poco espressiva nella gestualità, più impacciata e di maniera che misurata. Non ha convinto invece nel quarto atto, con una improbabile gabbia in cui è intrappolata Leonora, gabbia che le impedisce di abbracciare Alvaro e il padre guardiano ma non al fratello di pugnalarla a morte alle spalle, un quarto atto senza tensione, freddo e distaccato, per nulla coinvolgente. La gabbia può essere la maledizione, la gabbia del destino e dei sentimenti: ma qui non piace e non rende l'emozionalità della vicenda. Riserve anche sull'inizio dello stesso atto, con i questuanti addormentati a terra.
La vicenda inizia con un cupo interno di preziose stoffe damascate e stucchi dorati, mobili massicci e scuri, candele, e si chiude con una roccia incombente. Roccia che, elemento caratterizzante l'allestimento, è presente in tutti gli atti e contrasta con lo sfondo affidato a immagini di cieli e nuvole, quei cieli che sono la cosa più bella della scenografia.
Violeta Urmana è una Leonora dagli acuti svettanti con il registro centrale corposissimo, perfetta per l'ultima parte, meno per la leggerezza della “Vergine degli angeli”; ma la voce è bella e bene usata, la dizione perfetta, il fraseggio curato ed elegante, con rotondità morbide e ricche.
Marcello Giordani ha mestiere alle spalle e sa usare la voce, caratterizzando l'espressività di Alvaro.
Nel corso della recita è cresciuto Carlo Guelfi: il suo Don Carlo è parso con poco smalto all'inizio, poi è via via migliorato, arrivando a un terzo e quarto atto in modo eccellente.
Bruno De Simone è un perfetto Frà Melitone per giusta caratterizzazione, sia vocalmente che attorialmente, divertente ma sempre misurato in un contesto cupissimo.
Straordinario il Padre Guardiano di Roberto Scandiuzzi, forte presenza scenica, ieratico nella gestualità, sontuoso nella voce, scurissima, molto espressiva.
Convincente la Preziosilla di Julia Gertseva, con buone dizione ed interpretazione.
Con loro il simpatico Trabuco di Carlo Bosi, lo scuro Alcade di Filippo Polinelli, il debole Calatrava di Duccio Dal Monte, l'adeguata Curra di Antonella Trevisan, il “sanguinario” chirurgo di Alessandro Luongo che sfoggia un grembiule chiazzato di rosso.
La tarantella era affidata ai solisti di MaggioDanza che hanno ballato su coreografie di Sabine Mouscardès. Coro ben preparato da Piero Monti.
Teatro tutto esaurito: questa recita, a causa dello sciopero, era la prima rappresentazione. Pubblico plaudente e soddisfatto, con ampi consensi soprattutto al direttore.
Un dubbio: perchè il Maggio ha presentato lo stesso allestimento de “La forza del destino” proveniente dalla Opernhaus di Zurigo e visto al Carlo Felice di Genova pochi mesi fa?
Visto a Firenze, teatro Comunale, il 28 novembre 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Maggio Musicale Fiorentino
di Firenze
(FI)