Lirica
LA FORZA DEL DESTINO

la forza dell'estetica

la forza dell'estetica

Parma, teatro Regio, “La forza del destino” di Giuseppe Verdi

LA FORZA DELL'ESTETICA

Gli affascinanti spettacoli di Stefano Poda sono creazioni totali, essendo egli autore di regia, scene, costumi, luci e coreografie. E sono espressione di una cifra stilistica personale ben definita, che si declina principalmente in spazi geometrici e movimenti lenti e ieratici. Non bisogna interrogarsi eccessivamente sul significato di certe scelte e simboli: credo che per Poda sia maggiore l’attenzione sul significante, sul fattore estetico, espressione di un ascolto che non può prescindere dalle suggestioni scenotecniche, a volte vere opere d'arte. Poda è molto bravo a tradurre la musica in una luce/ombra che indugia su un dettaglio o gioca con una superficie creando effetti materici e iconici. Il significante non sempre e non necessariamente esprime un significato, ma è comunque molto suggestivo. Ciò può risultare carente per la narratività richiesta in alcuni momenti, come la taverna o il cortile del convento: ma non crediamo che Melitone sia più efficace con il mestolo in mano.

Il palcoscenico è foderato da alte pareti nere che paiono plastica goffrata, trattata come Burri faceva in certe sue opere, evidenziando pieghe e grinze. Al centro due enormi moduli spostati a vista da mimi, due alti parallelepipedi neri su un lato e bianchi sull’altro: il versante nero è come il fondo scena, il bianco creato con la sovrapposizione di blocchi quadrati di marmo bianco venato, quasi materiale archeologico di risulta, avendo tracce di scanalature, archetti ciechi, lesene, triglifi. La luce vi indugia sopra, creando effetti sorprendenti. I movimenti e le rotazioni dei due moduli danno luogo a spazi sempre diversi, a prospettive che cambiano continuamente. Affascinante la presenza in scena di mimi addossati ai muri in immobile silenzio, osservatori di una vicenda dolorosa.
Gli abiti sono monumentali e consentono ai cantanti movimenti contenuti e rallentati (ricordano un poco i vescovi di Manzù). La stoffa pare trattata  con la fiamma ossidrica, diventa ragnatela, mescola e sovrappone pizzo, panno e piume; nero e grigio scuro per Leonora e Curra, nero e rosso per Preziosilla. I coristi hanno cappelli a cilindro e cappottoni oversize con pennellate di rosso, come sangue rappreso. Le tonache dei monaci sono di maglia operata, avvolgenti.

Primo e secondo atto sono uniti; il momento più suggestivo è quello del convento, coi moduli messi in modo tale da rivelare una croce grazie alla luce dal fondo. La Vergine degli angeli è emblematica dello “stile Poda”: il nero avvolgente, la sacrale lentezza dei movimenti.
Nel terzo atto una palla ondeggia come il pendolo di Foucault, i mimi creano un groviglio umano a centro scena. Gli impiccati sullo sfondo traducono l’odio fratricida e la guerra, la sensazione di tradimento e di morte. Coristi e comparse si muovono come monadi, due passi avanti, due di lato, due indietro, tornando sempre al punto di partenza, allo stesso spazio, senza uscita: la predestinazione, la forza del destino. Che rende tutti spaesati.
Inquietante la coreografia del balletto: l’ansimare, il muoversi a scatti, la gestualità, il roteare come dervisci, congiunzione tra cielo e terra, tra umano e divino. L'inutile opposizione al destino.
Nel quarto la scena è dominata da una grande croce piegata, sostenuta da un elemento diagonale che pare lo gnomone di una meridiana enorme scandita da lastre di marmo messe in verticale a formare un circolo arcaico. Al centro un parallelepipedo di pietra, ara dove si conficca nel finale un pugnale che cade dall’alto.
Splendide sempre le luci, che evidenziano mani e visi, indugiano giocando con le superfici delle scene, mutano dal bianco al giallo oro, danno senso e significato a un nero totalizzante espressione di un dolore e dell’ineluttabilità del destino.

Gianluigi Gelmetti accompagna bene i cantanti e dirige con qualche lentezza alternata a una maggiore precisione nei tempi;  il direttore sottolinea sia i momenti di maggiore morbidezza che quelli più vibranti e non forza mai sul volume. L'orchestra è magnifica e risponde in modo ottimale quanto al suono; archi precisissimi e sontuosi, a fuoco tutte le sezioni, solisti impeccabili. La partitura è stata eseguita con tutti i tagli riaperti, operazione meritoria.
Il coro è stato egregiamente preparato da Martino Faggiani: da rilevare l’aderenza fisica e attoriale dei coristi, soprattutto nella sezione maschile, al punto da sembrare anch’essi mimi e figuranti, tanto sono bravi ed espressivi.

Dimitra Theodossiou debutta in Leonora e convince il pubblico, che la sostiene con grandi ovazioni fin dalla prima aria, assai emozionante; la cantante è perfetta nella pronuncia, molto brava nelle mezzevoci ricche di venature espressive; come sciabolate gli acuti; una performance canora nel complesso improntata a una grande partecipazione emotiva. Aquiles Machado è un Don Alvaro fisicamente aitante che a volte fatica a salire all’acuto (non saldissimo), ma il ruolo è impervio, giocato su passaggi di registro insidiosi. Vladimir Stoyanov è un bravo Don Carlo, la voce è vellutata ed i registri sono corposi; è risultato particolarmente brillante in “Son Pereda”. Roberto Scandiuzzi è un Padre Guardiano da manuale, una figura epica, una voce meravigliosamente verdiana per la scansione dei versi. Molto bravo Carlo Lepore, un Fra Melitone umanissimo, lontano dalla solita macchietta, affrontato con voce di lusso. Meno ha convinto la Preziosilla di Mariana Pentcheva dal punto di vista vocale, mentre attorialmente ha notevoli presenza scenica e forza comunicativa. Con loro, precisi e adeguati: Ziyan Atfeh (il marchese di Calatrava), Adriana Di Paola (Curra), Alessandro Bianchini (un Alcade), Myung Ho Kim (Mastro Trabuco) e Gabriele Bolletta (un chirurgo).

Teatro esaurito, serata inaugurale all’insegna di una sobria eleganza; ospite del sindaco il ministro Fazio.
Molti applausi per tutti i cantanti sia durante la recita che nel finale, soprattutto per la Theodossiou. Durante i ringraziamenti Stefano Poda ha voluto sul palco insieme a lui tutti i lavoratori del teatro (sarte, parrucchieri, elettricisti, macchinisti, eccetera), meritoriamente e giustamente: sono loro che fanno lo spettacolo in un modo che è tutto italiano e che a Parma diventa eccellenza.

Visto a Parma, teatro Regio, il 28 gennaio 2011

FRANCESCO RAPACCIONI

RECENSIONE SECONDO CAST

Complessivamente buono il secondo cast, dove ha spiccato Susanna Branchini, che di Leonora ha ben colto, grazie all'ottima capacità interpretativa, la psicologia mutevole, complessa e tormentata, caratteristica questa unita alla straordinaria potenza, sempre ben controllata, di una voce ricca di grande tempra, corpo, colore, agile nel registro acuto, intima e vibrante nei momenti maggiormente lirici.
Nei panni di Don Alvaro un Aquiles Machado forse non pienamente in linea con la parte; egli ci è parso, infatti, più volte costretto a forzare l'emissione e ha tratteggiato il suo nobile e indomito personaggio in maniera talvolta un po' diafana e piatta.
Più efficace il don Carlo di Vladimir Stoyanov, poco corposo in qualche caso nel registro acuto, ma dotato di una emissione ben educata e calibrata, di un timbro morbido ed elegante; egli ha saputo manifestare in ogni caso, oltre ad una tecnica impeccabile, una certa forza drammatica.
Voce dai toni piacevolmente scuri per l'autorevole Padre Guardiano di Riccardo Zanellato, che ha evidenziato grande gravità e presenza scenica.
Buona sonorità unita a una certa sicurezza di proiezione per Annunziata Vestri nelle vesti di una volitiva Petrosilla.
Carlo Lepore è un fra Melitone dotato di uno strumento dal bel timbro baritonale ricco di sfumature.
Con loro Ziyan Atfeh (Marchese di Calatrava), Adriana Di Paola (Curra), Alessandro Bianchini (Alcade), Myung Ho Kim (Trabuco) e Gabriele Bolletta (Chirurgo).
Sul podio, alla direzione dell'orchestra del teatro Regio di Parma, Gianluigi Gelmetti, che, pur senza imprimere particolare nerbo alla partitura, ha saputo sempre accompagnare in modo sapiente i cantanti senza mai sovrastarli. Ottima la prestazione, sia attoriale sia vocale, del coro del Regio preparato dal maestro Martino Faggiani.
Teatro gremito nonostante la nevicata e grande successo di pubblico con applausi a scena aperta e, soprattutto, a fine rappresentazione per tutti i protagonisti.

Visto a Parma, teatro Regio, il 30 gennaio 2011

SIMONE MANFREDINI

Visto il
al Regio di Parma (PR)