Lirica
LA FORZA DEL DESTINO

Un destino che pesa come un macigno

Un destino che pesa come un macigno

La forza del festino è un’opera sperimentale e composita che pone notevoli difficoltà esecutive in quanto, oltre a richiedere sei protagonisti di eccezione e un coro particolarmente affiatato, presenta una grande diversità di linguaggi e registri (comico, aulico, tragico, religioso) che non ne favoriscono la coerenza drammatica, ma che creano quella particolare atmosfera da romanzo ottocentesco popolare fatto di digressioni, colpi di scena, assurdità narrative e colore locale che si respira nel melodramma verdiano.
E proprio per la sua analogia con il romanzo “popolare” ed il suo immaginario quest’opera ha da sempre incontrato maggiore successo di pubblico che non di critica.

A distanza di pochi anni torna a Firenze l’allestimento prodotto dall’Opernhaus di Zurigo, con regia di Nicolas Joel ora ripresa da Franco Barlozzetti, già rappresentato a Genova nel 2006 ed al Comunale nel 2007 (spettacolo di cui esiste una testimonianza in DVD), recensito su questo sito in entrambe le occasioni. Si tratta di una produzione tradizionale e rispettosa delle indicazioni del libretto, che non spicca per l’originalità che di solito caratterizza le produzioni di Zurigo, ma che in definitiva funziona e, riguardandola, si apprezzano i movimenti precisi e mai ridondanti di singoli e masse, come pure le scene di Ezio Frigerio che con pochi tocchi caratterizzano i vari quadri in cui si dipana il racconto con cambi scena sufficientemente veloci da non interrompere il flusso narrativo.
Il macigno di pietra incombente dell’ultimo atto è un elemento ricorrente e fin dall’inizio prefigura il destino di Leonora, quando nel momento dello sparo accidentale una grotta petrosa appare dal fondo e si sostituisce alle tappezzerie damascate della sala nobiliare. Una cornice di roccia inquadra le varie scene e un gigantesco mosaico bizantino col volto di Cristo orna le pareti rocciose che racchiudono il monastero.
Le luci efficaci di Jürgen Hoffmann (ora riprese da Luciano Roticiani) ed i bei costumi di Franca Squarciapino, che traspongono l’opera in epoca ottocentesca in un clima risorgimentale da romanzo storico, valorizzano le masse mettendole in primo piano e facendole assurgere a ruolo protagonista. Le variazioni di luce scandiscono il passare del tempo e l’incalzare del dramma ed il cielo dello sfondo si anima di nuvole che corrono veloci piuttosto che di pennellate notturne corrusche come nei quadri oleografici dell’epoca.

Il mondo dell’opera è pieno di superstizioni e una vuole che la Forza del destino sia opera “iettatoria” per i cantanti: consideriamola un’attenuante, dato che nella recita di domenica due dei protagonisti erano indisposti e almeno in un caso sarebbe stata auspicabile la sostituzione.
Violeta Urmana, se pur non in perfette condizioni di salute, ha offerto un intenso ritratto di Leonora con accento vario e vibrante adatto a tratteggiare la donna lacerata da un conflitto insanabile. Una fuoriclasse di cui si continua ad apprezzare tecnica e stile.
Deludente il Don Alvaro di Salvatore Licitra, la voce avrebbe bel timbro e volume importante, ma il canto privo di legato e sfumature è mal modulato ed il rischio stonatura in agguato.
Non valutabile il Don Carlos di Roberto Frontali, visibilmente sofferente, che ha accettato di cantare fino alla fine per consentire il normale svolgimento della recita e a cui il pubblico ha tributato un applauso di sostegno.
Roberto Scandiuzzi ripropone il suo Padre Guardiano ieratico ed autorevole, ma se il personaggio convince la voce mostra segni di stanchezza.
Ottimo Roberto de Candia, un Fra Melitone divertente e vivace ma mai sopra le righe, dal canto ben controllato e ricco di quella varietà di accento che genera vis comica.
Avvenente e disinvolta, ma dalla dizione insufficiente, la Preziosilla di Elena Maximova.
Per meriti vocali convincono il Marchese di Calatrava di Enrico Iori ed il divertente Mastro Trabuco di Carlo Bosi. Fra gli altri comprimari ricordiamo Antonella Trevisan (Curra), Filippo Polinelli (un Alcade) ed il chirurgo di Nicolò Ayroldi.

Zubin Mehta offre una lettura sinfonica che esalta complessità e varietà della partitura, dove si stagliano perfettamente tutte le sezioni dell’orchestra con grande varietà di colori e sonorità sontuose. La direzione, in equilibrio fra dramma individuale e affresco storico, evita i toni più enfatici e il bozzettismo di maniera per sottolineare l’inesorabilità drammatica che è la chiave di volta del dramma, infondendogli un respiro unitario.
Ottimo il coro del Comunale diretto da Piero Monti, commovente nella “Vergine degli angeli“ piuttosto che nella preghiera dei pellegrini, ma ancora più notevole per la precisione ritmica del tanto bistrattato “Rataplan”.

Un teatro esauritissimo ha rivolto i suoi più calorosi applausi a orchestra e direttore.

Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)