San Severino Marche (MC), teatro Feronia, “La gabbia – figlia di notaio” di Stefano Massini
TERRORISMO E FAMIGLIA
“La gabbia – figlia di notaio” è arrivato a San Severino grazie all'intelligente progetto “Giro d'Italia – viaggio nella memoria di un paese che non c'è”, ideato e curato dalla brava Sonia Antinori, direttore artistico del teatro comunale di Apiro. Il pubblico (purtroppo scarsissimo) ha seguito con tensione e partecipazione lo spettacolo, anche per la vicinanza fisica alle coinvolgenti attrici.
Infatti gli spettatori entrano tutti insieme contemporaneamente, in fila indiana, salgono sul palcoscenico e si accomodano su sedie di legno sistemate intorno a una gabbia, il parlatorio di un carcere. Le due protagoniste sono già in scena, immobili. La più matura è la prima a parlare (il silenzio iniziale è pesante), le parole feriscono, come lame. Un duello. La conversazione appare impossibile, le due donne non trovano alcun punto di incontro e partono da posizioni diametralmente opposte. Madre e figlia: eppure non hanno contatti da undici anni. La madre è una scrittrice di successo, borghese, sposata a un notaio; la figlia è una brigatista rossa condannata per banda armata che ha bruciato la sua vita: di fronte senza pietà, senza comprensione, senza retorica. Niente è facile. Le parole marchiano indelebilmente, segnano come graffi, le frasi sono violente, ma non ci sono vincitrice né vinta, perchè, per un momento, ciascuna si riconosce nell'altra, salvo poi proseguire nel proprio percorso immodificabile.
“Ogni dialogo è una gabbia, la famiglia è una gabbia, scrivere è una gabbia, la verità è una gabbia”. La gabbia è la prigione, una delle tante che la vita ci chiude intorno, ma anche l'incapacità di uscire da noi stessi, di rapportarci con gli altri, di superare gli schemi. Massini scrittore ha composto un testo politico mai scontato, mai didascalico, sempre teso e lucido, con rimandi a Kafka, a Henry James, ma anche a “La meglio gioventù”. Massini regista è attento ed ha uno sguardo quasi cinematografico. E pensare che ha solo trent'anni... “Affido a questi due ritratti di donna il compito di scendere a fondo, nelle viscere di una famiglia inesistente e dei relitti umani che ne avanzano. Ed affido a questo ennesimo dialogo la mia voglia di investigare le Brigate Rosse, il loro grido, la loro ansia di futuro e l'utopia cieca di una rivoluzione radicale”, scrive Stefano Massini nelle note allo spettacolo.
I ruoli sono stereotipati e il dialogo è prevedibile nei toni, infiltrato però di sottigliezze. A un certo punto uno schiaffo, la prima cosa vera che succede, senza maschere, senza discorsi. Cambia l'atmosfera, come se le luci ingiallissero verso una (pacificata?) intimità. E, come negli altri lavori di Stefano Massini (“L'odore assordante del bianco”, ambientato nel manicomio in cui fu rinchiuso Vincent van Gogh e “Processo a Dio”, che rievoca l'orrore dell'Olocausto chiamando Dio sul banco degli imputati: come ha potuto lasciare che la Shoah si compisse?), arriva puntuale il colpo di scena che impone di ripartire dall'inizio: con la scusa di scrivere ci si guarda dentro, si trova il coraggio di chiedersi “chi sono?”. E gli spettatori, costretti a scrutarsi dentro nel profondo, sono spinti ad analizzare con ferrea lucidità le troppe gabbie del quotidiano e dello stesso esistere, le incapacità che ci imprigionano.
Visto a San Severino (MC), teatro Feronia, il 02 aprile 2008
Francesco Rapaccioni
Visto il
al
Feronia
di San Severino Marche
(MC)