La Gatta sul tetto che scotta, opera del pluripremiato drammaturgo statunitense Tennessee Williams, va in scena stavolta con la regia di Arturo Cirillo e presenta come protagonisti Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni (visti recentemente insieme sul piccolo schermo nella fiction targata Rai, "L'Oriana"); con loro ci sono Paolo Musio, Franca Penone, Salvatore Caruso, Clio Cipolletta e Francesco Petruzzelli.
La storia, resa celebre dalla pellicola hollywoodiana degli anni '50 con Paul Newman e Liz Taylor, è quella di Maggie e Brick, una coppia che sta vivendo una profonda crisi matrimoniale, le cui cause non sono note all'inizio. Da tempo i due non hanno più alcun rapporto, nonostante i continui assedi della donna nel tentativo di sedurre il marito che, dal canto suo, passa le sue giornate a bere. In occasione del compleanno del padre di Brick -che tutti, meno che lui, sanno essere l'ultimo a causa di una grave malattia- la famiglia si riunisce e nel corso dei festeggiamenti emergeranno le trame di un'ipocrisia che colpisce trasversalmente tutti i membri della famiglia. Sarà il padre di Brick a indagare e interrogare a fondo il figlio per cogliere la causa del tormento che lo sta conducendo all'autodistruzione. Il tassello mancante della sua vicenda, legato alla morte di un amico che nutriva per lui un sentimento affine all'amore, e forse ricambiato, verrà allo scoperto solo in ultime battute, insieme con tutte le altre verità a lungo taciute, come le reali condizioni di salute del capofamiglia e le mire economiche del secondogenito che vuole accaparrarsi l'eredità paterna. Il finale, che sembra portare con sé una conciliazione tra Brick e Maggie, si rivela amaro nella rappresentazione familiare di Williams. In questo sistema di ipocrisie non sarà la verità a ristabilire l'equilibrio, ma un'ennesima bugia: l'attesa di un figlio che illuderà le speranze di una coppia che in qualche modo proverà ad andare avanti.
Vittoria Puccini si cala timidamente nei panni della gatta, della quale ha, sì, le movenze -ed anzi se ne sottolinea uno studio notevole della gestualità- che esprimono costantemente il suo desiderio intimo e la sua frustrazione, ma non il miagolio accorato e tormentato. Anche Vinicio Marchioni non sembra essere in piena sintonia col ruolo interpretato, destreggiandosi goffamente tra la stampella e la sbronza, innaturale e quasi meccanico, non canzonatorio, nelle iniziali risposte telegrafiche a Maggie. La monotonia dell'azione si interrompe solo, unico momento di vero pathos, nel lungo incontro-scontro tra padre e figlio che lascerà entrambi sconfitti. Paolo Musio (il padre) riesce a fare centro nella caratterizzazione del personaggio, quello meglio costruito per essere visto a tutto tondo, sia nei rapporti familiari, sia con l'ambiente esterno (grazie alla figura chiave del Reverendo Tooker). Musio risulta autentico sia nel momento di febbrile vitalità che segue all'illusione di aver scampato la morte, sia nella disperazione nel constatare di avere pochi giorni di vita. La scenografia, pur molto curata nei dettagli, presenta una parete scorrevole sul fondo della camera da letto dalla funzione non molto precisa, che di tanto in tanto si apre per lasciar intravedere un folto fogliame -presumibilmente il giardino della tenuta- ma senza creare un definito limite spaziale tra interno ed esterno. Tiepido l'applauso del pubblico, che stenta a trattenersi in sala, per una prova malriuscita di far rivivere il capolavoro di Williams.