Prosa
LA GIOVINE ITALIA

Il sipario del Teatro dei Ser…

Il sipario del Teatro dei Ser…
Il sipario del Teatro dei Servi si apre, scoprendo una scenografia molto realistica e ben curata, che riproduce il salotto di una casa di cura per anziani: “La Giovine Italia”, ospizio che si avvale della collaborazione di un’infermiera piuttosto allegra e trasgressiva (Giulia Elettra Gorietti), nonché della direzione di un signore ancor più bizzarro, di cui sentiamo solo la voce agli altoparlanti, volutamente indiscreti per tutta la durata della commedia. Il primo ad entrare in scena è il mitomane Sig. Placido (convinto di essere Silvio Berlusconi) il quale rompe il ghiaccio raccontandoci una barzelletta che lancia un immediato messaggio, filo conduttore della vita dei pazienti di questo ospizio: i fatti (propri o altrui) hanno un senso solo se vengono “condivisi” con gli altri. Sarà proprio questo simpatico personaggio, interpretato dal bravissimo Maurizio Di Carmine, insieme al trasformista Luca Word nel ruolo di Pietro Vinciguerra, un vecchietto acciaccato e rimbambito dalla voce roca e l’accento romano (dimentichiamoci i panni dell’uomo fascinoso che veste abitualmente in tv e tanto più la sua nota voce sensuale di doppiatore) a dominare magnificamente la scena e sostenere un testo semplice, a tratti originale, in altri momenti un po’ privo di spessore ma nell’insieme piacevole e omogeneo. A tentare senza successo di scombinare dinamiche ed abitudini radicate nella casa di cura, sarà l’ultimo arrivato, il giovane Dottor Buto, ben interpretato dall’attore Giulio Pampiglione che, forse per esigenze di ruolo, è l’unico a sfoggiare una dizione perfetta. Anche il Dottore, infine, si arrenderà e starà al gioco, traendo una lezione di vita da questa esperienza più umana che professionale. È reso bene in scena l’affetto che cresce man mano tra i personaggi e più si viene a conoscenza dei loro problemi, delle loro manie e delle vite di ognuno, più ci si sente coinvolti nella storia che, seppur attraversata per intero da una vena comica, raggiunge momenti di commozione e tenerezza fino a toccare tratti di drammaticità. Un oggetto in realtà assente sul palco, la televisione, è spunto di dialogo, riflessione e battibecchi continui ed un modo per sconfiggere la solitudine di ciascuno dei protagonisti. È un peccato che siano così “sussurrati” e difficili da seguire, nella parte finale, i ricordi raccontati da Pietro (ci si mette anche il volume della musica, troppo alto, a coprire il monologo) e purtroppo molte battute, forse importanti, si perdono. Ma il messaggio che si intuisce è che la vita è una sola e non va sprecata. Non molto diversa (nelle movenze, nella gestualità e, ahimé nel tono della voce) da come siamo abituata a vederla al cinema ed in tv, Giulia Elettra Gorietti, ma tutto sommato non guasta il lavoro di un’ottima compagnia. Roma, Teatro dei Servi, 25 Novembre 2008
Visto il
al De' Servi di Roma (RM)