Il 2016 ha registrato diverse iniziative musicali destinate a celebrare il secondo centenario della morte di Giovanni Paisiello (Taranto, 1740 - Napoli, 1816). Una delle operazioni più interessanti è stata senz’altro il recupero della Grotta di Trofonio, commedia per musica composta nel 1785 per il Teatro dei Fiorentini di Napoli e basata su un libretto che riprende e largamente modifica l’omonimo testo di Giambattista Casti già intonato da Antonio Salieri per il Burgtheater di Vienna.
La partitura paisielliana è stata presentata la scorsa estate a Martina Franca nell’ambito della quarantaduesima edizione del Festival della Valle d’Itria. La fortunata produzione pugliese ricompare ora nella stagione d’opera del San Carlo con un cast vocale in gran parte diverso e con un nuovo direttore; restano immutati, invece, i grandi libroni squadernati che popolano la scena unica ideata da Dario Gessati e i costumi degni di un romanzo d’avventura salgariano disegnati da Gianluca Falaschi.
Nella cornice raccolta del teatrino di corte, la creazione settecentesca sembra ritrovare le sue proporzioni naturali. Non viene meno la verve dell’azione, già apprezzata a Martina, che la regia di Alfonso Antoniozzi esalta con tocchi intelligenti e fantasiosi. In più, a Napoli emerge con maggiore evidenza la raffinatezza della scrittura di Paisiello, nella quale il gioco insistito delle ripetizioni meccaniche e delle sillabazioni a raffica, fonte inesauribile di comicità, convive con la sapiente combinazione dei colori timbrici (straordinarie, ad esempio, risultano le miscele dei fiati nella prima aria di Eufelia, In udir que’ cari accenti) e con una sorprendente varietà di figurazioni e di effetti sia nelle parti vocali, sia in quelle strumentali. Lo spettacolo, pertanto, scorre leggero e godibilissimo, animato da una pirotecnica alternanza di frizzi sorprendenti e battute salaci, allusioni argute e gag esilaranti, non senza qualche compiaciuto sconfinamento nei territori del soprannaturale.
Tutti bravi gli interpreti, che con generosità e gusto prestano ugola, corpo, sguardi e smorfie al gioco scenico. La voce di Maria Grazia Schiavo (Eufelia) è luce pura che brilla, si spande e infine si dissolve lasciando in chi ascolta il desiderio di essere di nuovo raggiunto da tanta grazia e bellezza. Sonia Prina unisce risonanze dense e scure e gesto disinvolto nel tratteggiare il temperamento volitivo e capriccioso di Dori. Giorgio Caoduro, che canta con sicurezza e precisione, mette perfettamente a fuoco la dabbenaggine di Don Piastrone. Memorabile la scanzonata ieraticità di Roberto Scandiuzzi, intonatissimo e capace di toccare senza esitazioni le note più profonde della parte di Trofonio. A David Ferri Durà calza a pennello il ruolo dell’innamorato Artemidoro, reso con sobria espressività. Filippo Morace dona al pubblico una caratterizzazione riuscitissima di Don Gasperone, nella quale si deposita un’affascinante stratificazione di ‘abilità’ proprie della civiltà spettacolare partenopea. Spiritosa, schietta e vocalmente impeccabile è la Rubinetta di Caterina Di Tonno, mentre Daniela Mazzucato disegna in punta di pennello il personaggio di Madama Bertolina.
La direzione di Alessandro De Marchi è lucida e rigorosa, ma anche divertita e divertente; la buona intesa con l’orchestra e con in cantanti garantisce la pulizia degli attacchi e la complessiva scorrevolezza del flusso sonoro, che procede senza affanni e senza stagnazioni.
Gli spettatori apprezzano, si divertono, ridono: segno che l’opera comica del Settecento, se ben eseguita e proposta con una regia appropriata e sensibile alle ragioni della musica e della scena, funziona e piace.