La vicenda dei coniugi Barbara e Jonathan Rose – interpretati da Ambra Angiolini e Matteo Cremon – si focalizza sulla separazione di due anime, in un certo senso complementari.
La fine di un amore, vissuto con passione, follia e crudeltà, fino alle estreme conseguenze. Questo è quanto viene raccontato da “La guerra dei Roses”, un romanzo di Warren Adler (1981), reso “epico dal film diretto e interpretato da Danny DeVito, con protagonisti Michael Douglas e Kathleen Turner.
La vicenda dei coniugi Barbara e Jonathan Rose – interpretati da Ambra Angiolini e Matteo Cremon – si focalizza sulla separazione di due anime, in un certo senso complementari.
Non a caso, lo spettacolo in scena nei teatri italiani, diretto da Filippo Dini, comincia con i due protagonisti che si presentano in proscenio uno accanto all’altro, rivolgendosi al pubblico, o meglio a un entità che permette di intuire dalle prime battute l’inevitabile fine di questa tragicomica parabola, non risparmiandosi comunque reciproche recriminazioni.
Due cuori, una grande casa
Improvvisamente, un grande telo viene scoperto, svelando la stupefacente scenografia (inclinata) di Laura Benzi, lo spazioso ingresso della casa coniugale (con l’immancabile, maestoso lampadario degno di un allestimento londinese di The Phantom of the Opera), frutto di tanti sacrifici da parte dei due sposi, che diventa il principale motivo del contendere in una battaglia senza esclusione di colpi.Ambra è risoluta nell’interpretare il repentino cambiamento di Barbara, che smette di accontentarsi della parte di moglie fedele e, solo all’apparenza, dimessa, cercando di porre le basi per una propria affermazione professionale, che esclude totalmente la presenza del marito. Matteo Cremon cesella il suo personaggio assecondando le tipiche caratteristiche del self-made man anni Ottanta: è tendenzialmente, maschilista, pur senza risultare misogino, ma forse è proprio questo aspetto a rendere la sua interpretazione convincente.
Guerra tra toghe
Per comprendere a fondo il percorso verso l’inevitabile “discesa agli inferi” dei due protagonisti, è necessario conoscerne la storia dall’inizio. Il compito è affidato agli altri due attori in scena, nei panni dei due avvocati divorzisti: Massimo Cagnina (sorprendentemente affine fisicamente e nello stile interpretativo al suo omologo cinematografico Danny DeVito) e Emanuela Guaiana. Sono loro, ognuno a suo modo, i reali ispiratori di una “guerra”, che non prevede vincitori.
Tra il comico e il grottesco, il legale di Barbara è una “mangiauomini”, che sprona la sua cliente ad acquistare maggiore consapevolezza di sé e a percorrere la strada dell’autorealizzazione; Jonathan si affida a un avvocato divorzista, meno “guerrafondaio”, ma pragmatico e disilluso.
L’atmosfera cinematografica che ha contribuito al successo di questo testo ovviamente fa sentire la sua mancanza soprattutto nella scena finale, con i due protagonisti appesi al lampadario. Ma in teatro, i riflettori si riaccendono e basta un colore più “macabro” per dare il giusto significato a un finale annunciato.