Obsextion è uno spettacolo che, pur essendo indicato per un pubblico adulto, non ha niente di pornografico, al di là dell'erotismo "casto" del corpo nudo dell'attrice.
Uno studio registico accurato, quello di Manuele Morgese, soprattutto per quanto riguarda gli effetti scenografici della luce.
Ho apprezzato molto i giochi della luminotecnica che mi hanno dato l’impressione, a tratti, di un uso quasi caravaggesco dell’illuminazione: oserei definirlo un caravaggesco-rock. Erano, infatti, interessanti i tagli di luce trasversali che colpivano il volto dell’attrice nei momenti di maggior tensione drammatica. “Rock” è stata la colorazione di alcuni tagli di luce, che, a volte, erano rossi. Bello anche il “quadro” iniziale, in cui una luce rossa ritagliava in un rettangolo, come fosse un quadro, la Valiante-Sexton a mezzobusto nella quinta di destra. Un inizio che mi ha quasi richiamato alla mente quella torbida ambiguità erotico-moralistica, cioè consapevole dell’orrore del peccato, tipica di quei pre-raffaelliti in cui l’espressione dell’orrore, del perturbante e della sofferenza non sono da intendersi come la negazione del Bello, ma solo come l’altro lato della medaglia.
La vita della poetessa americana Anne Sexton (a cui la pièce era ispirata), infatti, è stata all’insegna delle tre note, giustapposte e confuse l’una nell’altra. di dissolutezza, sofferenza ed illuminazione. La dissolutezza è stata quella di una gioventù trascorsa all’insegna del sesso e del divertimento e che poi è continuata anche dopo il matrimonio e i due parti. La sofferenza, invece, è stata quella di una vita (breve) corrotta della malattia altrui (il padre alcolizzato, la zia materna pazza, la madre che la umiliava), fino a risentirne ella stessa e finire in istituti psichiatrici, per riuscire, finalmente, a porre termine ad un’esistenza non-vissuta. L’illuminazione è stata quella della poesia che è nata quasi per caso dopo un tentativo di suicidio, ed è stata apprezzata dal medico che l’aveva in cura (prima di essere utilizzata dalla madre solo per farsi pubblicità con il nome della figlia e rovinarle l’ancora di salvezza). In ogni caso, insieme al sesso, l’arte poetica è stato l’unico raggio di luce che Anne Sexton è riuscita a trovare nel buio della disperazione. Ma la sua ninfomania era quasi una forma di sesso spiritualizzato. Certo il peccato non è un’ancora di salvezza, ma se non altro è una delle cose che la faceva sentire viva, creativa e soddisfatta. Le poesie ha cominciato a scriverle dopo il primo tentativo di suicidio, incoraggiata da uno psichiatra; ma probabilmente queste non sono state salutari al suo animo facile preda della depressione. Infatti parlare di poesia significa parlare del proprio passato e fare delle confidenze profonde. Per un poeta il ricordo torna ossessivamente. Niente è più intimo di una lirica. La Sexton, insieme all’amica-amante Sylvia Plath (morta suicida prima di lei e il cui gesto la turbò molto) è stata l’icona della cosiddetta “poesia confessionale”: quindi, niente di più interiore, segreto, privato, e perciò, carnale, pudente e, infine, spirituale. E lo si evince anche dai temi trattati, come il ricordo del seno della mamma, ma ancor di più dagli elogi dell’adulterio o della masturbazione.
Già dal titolo, in realtà, si comprendeva la commistione di "obsession", "sex" e "Sexton".
Il sesso, sempre è comunque. Accompagnato dal desiderio di veder morte le sue due figlie (che, invece, dovrebbero essere uno degli eventi più belli per una donna) e dal suicidarsi. L’impressione che se ne ha è quella di una vita fuori dal proprio controllo e governata, invece, dalle pazzie altrui: queste, alla fine, non solo l’hanno condizionata, ma addirittura annientata.
Persino la voce dell’attrice, Emanuela Valiante, era “intima”, cioè delicata e flautata. Ciò non toglie che quando la disperazione si faceva più grande, ha tirato fuori degli urli energici.
Molto interessante è stata anche la scenografia: oggetti bianchi appesi alla rinfusa sullo sfondo nero, tanto da sembrare quasi un quadro di Picasso. L’attrice si è mossa davanti e tra di loro, in una sorta di “Guernica” dell’anima. Una vita messa a nudo, così come nuda era l’attrice, soprattutto nella prima metà dello spettacolo, quando si è prima spogliata, poi rivestita con una vestaglia semi-trasparente e fluttuante. Bianco e poi rosso sono stati i colori degli abiti da lei indossati. Ma non è stato prevalente il primo dei due, il colore del candore, della nuova Anne, diventata donna, un casto tailleur, quanto piuttosto lo è stato il secondo, il colore della passione: prima una vestaglia semi-trasparente, poi un abito aderente e scollato. In ogni caso, ha mostrato abbondantemente il proprio corpo diafano in un’immagine carnalmente mistica, la cui seducente carnalità si contrappone ad una sofferenza invincibile.
Ad effetto il finale della pièce.
Ho trovato particolarmente inquietanti, invece, i molti spezzoni di monologo, sopratutto all'inizio dello spettacolo, recitati di dall'attrice seduta di spalle.
Prosa
DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO
La guerra dell'anima e le ossessioni intime
Visto il
03-05-2011
al
Tordinona - Sala Pirandello
di Roma
(RM)