Lirica
LA LEGGENDA DELLA CITTà INVISIBILE DI KITEZ

Cagliari, teatro Lirico, “La …

Cagliari, teatro Lirico, “La …
Cagliari, teatro Lirico, “La leggenda della città invisibile di Kitež e della fanciulla Fevronija” di Nikolaj Rimskij-Korsakov IL TEATRO PER IMMAGINI DI NEKROŠIUS Nel primo centenario della scomparsa di Nikolaj Rimskij-Korsakov (solo a Cagliari sembrano essersene ricordati) il teatro Lirico ha inaugurato la stagione nei soleggiati, tiepidi giorni del patrono della città Sant'Efisio con “La leggenda della città invisibile di Kitež e della fanciulla Fevronija”, coprodotta con il Bol'šoj di Mosca, che con questo allestimento riapre i battenti in autunno dopo i restauri. Nella sua produzione, intermedia fra matrice russa e gusto occidentale, Rimskij-Korsakov costituisce l'anello insostituibile di influssi reciproci che legò l'Europa (la Francia in particolare) e la scuola russa. Wagner tende a sommare timbri strumentali e a subordinarli alla linea melodica, invece l'orchestrazione di Rimskij-Korsakov, benchè utilizzi il letimotiv, si evolve lungo un indirizzo nuovo, che conduce al frazionamento della massa strumentale in timbri singoli, puri, e alla valorizzazione del colore come elemento costruttivo fondante del discorso musicale, anticipando Debussy (e, per certi versi, revisionando Musorgskij). Sulla scia di Glinka, predomina ne “La leggenda della città invisibile di Kitež e della fanciulla Fevronija” un clima fiabesco, dove la favola si mescola con gli elementi realistici derivati dalla tradizione letteraria e dalla narrazione storica. Qui convivono mitologia slava (gli uccelli profetici con volto di donna), fede ortodossa (la miracolosa comparsa della città, il suono spontaneo delle campane), meditazioni religiose (l'etica del perdono, la redenzione), storia nazionale con intenti patriottici (la resistenza eroica contro i tartari), soprattutto leggenda popolare, la storia della contadina Fevronija (chissà se in rimando alla dea romana che sovrintendeva alla mietitura dei campi di grano, Feronia appunto) che per amore del principe Vsevolod fa scomparire la città di Kitež, salvandola dall'attacco dei Tartari. Il regista Eimuntas Necrošius ha dato concretezza alla densità dei temi intrecciati dal compositore, mantenendo una linea netta. Non è un teatro facile quello di Nekrošius nell'indagare il confine fra leggenda e storia, fra paganesimo e cristianesimo. Il suo lavoro enigmatico trova sempre nelle immagini la forza di irrompere sulla scena e di scolpirsi nell'esistenza degli spettatori. L'immaginifico e tormentato regista, che ha inventato negli anni una nuova grammatica teatrale, centrata sull'estensione del tema trattato oltre la parola, i significati del libretto e la linearità delle note (a volte introducendo una sua verità, estranea al contesto, ma che riflette ed esalta i significati delle opere in scena), traduce la sua indagine in folgoranti e simboliche interpretazioni-immagini, in un continuo ed inesauribile gioco di rimandi, a volte enigmatici, sempre evocativi. Nekrošius utilizza la consueta cifra stilistica, frantuma la narrazione in una miriade di immagini con un senso arcaizzante (e controcorrente) dell'estetica teatrale, riuscendo a iperbolizzare la narrazione senza effetti speciali: tutto si muove a mano e a vista, persino il fuoco è una palla di stracci rossi con la coda come una cometa lanciata in aria ripetutamente. E la strage di innocenti russi da parte dei tartari è mostrata lanciando dalle quinte sul palco pezzi di corda rossa. Si comincia con un pianoforte “vegetale” con cui Fevronija intona l'inno alla natura, tra cerbiatti di legno e cicogne dal lungo, oscillante becco: i primi movimentati da umani, le seconde bambini che reggono in alto un pezzo di legno puntuto. Semplicemente. Genialmente. Nel loro primo incontro il principe lecca il miele dalla mano della fanciulla, quella mano con cui lei ha nutrito gli animaletti della foresta: intimità profonda e istintiva. Un enorme mestolo è sospeso nel secondo atto, forse l'idea della domesticità associata al matrimonio, oppure la festa, quando “fanno tintinnare le padelle”. Tele dipinte, schizzate di rosso, vengono usate come stampelle per incedere con difficoltà. Un lunghissimo chiodo diventa remo per il nocchiero. Le case di Kitež sono chiglie di nave rovesciate su altissimi pali, intorno a un lago di cuscini azzurri, dove il paggio e una cicogna saltellano. In un recinto si radunano i Tartari, come animali selvaggi, sovrastati dalle campane della città invisibile. Il corteo nuziale è reso con giovani che sfrecciano da una quinta all'altra sventolando bianchi veli. Ragnatele vengono strecciate per avvolgere Fevronija e prepararla all'incontro “liturgico” con l'amato, che appare con tre giovani cariche di bilancieri-gogne. E poi due stelle, ricamate sul sipario come per magia dagli uccelli del paradiso, preludio alla sublimazione dell'amore in quel matrimonio mistico che solo Nekrošius poteva rendere così credibile. Amarsi per sempre. Come quelle carene di navi puntate verso l'alto che nel finale rivelano essere icone dorate. Antiche e moderne. Per sempre. Sapiente è la capacità del regista di muovere le masse ed i solisti, con una coerenza ed una plasticità straordinarie. Un esempio: la lunga aria del Principe nel terzo atto, in cui praticamente non c'è azione; qui il regista inventa una processione che sfila lentamente sotto la mano stesa di Jurij. Come nella prosa, anche nella lirica la sintassi di Nekrošius è precisissima e nulla accade per caso. I gesti astratti, rituali (i moti delle mani, delle braccia), ripetuti come un tic, a volte enigmatici, rimandano a una sacralità arcaica e spesso si richiamano a “benedizioni”. Nel cast ha primeggiato, per doti attoriali e vocali, Tatiana Monogarova, bionda e trecciuta fanciulla. Fevronija è, come tante volte del teatro di Nekrošius, una donna giovane, forte, solare, fiduciosa, gioiosa, solitaria, vitale, una contadina lituana indipendente e buona, con un senso panteistico della natura (vive degli incanti della natura), una persona non sovrastutturata ma sincera e onestissima che ama fino in fondo e che perdona non una o cento, ma mille volte chi più l'ha offesa, denigrandola pubblicamente mediante falsità (trascina la sedia-slitta con sopra il suo carnefice). “Non giudicarmi, bel giovane, sono una ragazza semplice, non istruita”. La Monogarova è perfetta, intensa nella parte e naturalissima nella recitazione inventata dal regista, come appartenesse alla compagnia Meno Fortas. Ottimo Mikhail Kazakov, un autorevole e possente Principe Jurij dalla voce scura e corposa. Vitaly Panfilov è un adatto Principe erede Vsevolod, all'inizio furtivo nell'innamoramento, come un animale selvatico, poi annegato nell'afflato luminosissimo della sua essenza spirituale. Mikhail Grubsky ha racconto un grande successo di pubblico per il suo Griska nervoso e perfetto di voce vellutata e dai colori intensi. Gevorg Hakobyan è Fëdor Pojarok, anche lui adeguato al ruolo. Una menzione a parte merita il paggio, Marika Gulordava, giovanissima, straordinaria interprete di un personaggio indimenticabile, un giovane paggio curioso che scruta e scruta avidamente, come chi cerca terra dal mare dopo un lungo e periglioso navigare un acque sconosciute. La freschezza di interpretazione ed i colori della bella voce impongono di seguirne la carriera. Bene anche i numerosi altri personaggi di contorno, interpretati da italiani e russi. Fondamentale l'apporto delle scenografie di Marius Nekrošius, come anche le luci di Audrius Jankauskas ed i costumi di Nadezda Gultiajeva. Contrariamente al solito, i costumi non sono volutamente “poveri”, ma le stoffe sono damascate, impreziosite da immagini in bianco e nero, fitte di ricami e merletti, accompagnati da trovate curiose, come le spade di pelo col ciuffo dei Tartari. Precisissima ed equilibrata la concertazione del direttore Alexander Vedernikov, che ottimamente fonde l'orchestra del Lirico e i solisti, avendo a disposizione anche il coro del Lirico in una delle prove più difficili, ma impeccabilmente preparato da Fulvio Fogliazza. Pubblico rapito, diversi posti vuoti, purtroppo, per un'occasione di teatro irripetibile. Visto a Cagliari, teatro Lirico, il 2 maggio 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Lirico di Cagliari (CA)