Oltre il sipario, oltre la finzione, oltre l’umanità del dolore, si celebra la rappresentazione de “La madre” di Paolo Fallai, in scena al teatro Vascello di Roma dal 19 al 29 gennaio, per la regia di Alessandro Berdini, grazie al progetto audiovisivo di Mario Marra, con l’interpretazione di Paola Rinaldi e Vittoria Faro: uno spettacolo ispirato a “Il malinteso” Albert Camus.
“Si tratta di una rilettura in chiave contemporanea dell’opera d’esordio teatrale dello scrittore francese, che trasferisce all’interno di uno studio televisivo il dramma e il delirio omicida del testo di Camus, declinati secondo le specifiche caratteristiche della rappresentazione mediatica”: ha dichiarato Paolo Fallai. L’originalità dello spettacolo è nella scelta di raccontare la storia attraverso un’inedita scelta prospettica: non siamo più spettatori teatrali, bensì il pubblico di uno show televisivo che si chiama “Crimina”, in cui assistiamo al serrato confronto fra una madre e una figlia, entrambe omicide, il cui tragico e comune passato emerge dal botta e risposta di un’intervista di 45 minuti.
Si è detto spesso che “Il malinteso” di Camus è il dramma della castrazione, della negazione maschile spinta alle estreme conseguenze, tanto da infrangere uno dei tabù originari della natura: l’impossibilità per una madre e per una sorella di riconoscere il proprio sangue. La riduzione drammaturgica proposta ne “La madre”, però, va oltre i contenuti dell’opera che la ispira. Innanzitutto, la vicenda viene riproposta cercando di attualizzare non la storia, ma il cinismo nel quale è immersa. Al male come obbligazione senza futuro, viene aggiunta la sua rappresentazione mediatica. Inoltre, è interessante notare la trasposizione diamesica che è stata operata nello spettacolo, sovrapponendo e mescolando diversi linguaggi, propri del teatro, della televisione e del cinema: la rappresentazione teatrale si finge rappresentazione televisiva, la quale a sua volta si finge rappresentazione della realtà di vita.
Quest’opera è una tragedia assoluta, tanto quanto lo sono le opere della tragedia greca e latina, come ad esempio “Agamennone”, “Edipo”, “Tieste”: il destino dei protagonisti è accomunabile per il fatto che tutti finiscono ugualmente per versare il sangue del proprio sangue, senza riconoscerlo. Ma questo dramma, che potremmo definire “post moderno”, rispetto a quelle storie antiche, non ha un Fato crudele che, come nella tragedia attica, gioca con l’uomo come fosse una pedina su una scacchiera, muovendo i suoi passi fino ad un mostruoso epilogo. La tragicità del testo di Camus sta nell’apparente levità con cui vengono commessi i delitti, la scelta consapevole dei protagonisti dell’assurdità del male. Alla tragicità “moderna” dell’autore algerino si aggiunge quella “post moderna” di Fallai: la spettacolarizzazione mediatica del male che “anestetizza” le emozioni tanto di chi compie il male, tanto quanto quelle del pubblico che assiste con indifferenza. “La madre”, dunque, esprime un’idea del tragico post moderna: l’apatia come dramma della società contemporanea.
E’ uno spettacolo di valore, che inchioda gli spettatori creando la giusta suspense dal principio fino all’inaspettato epilogo, avvalendosi della regia di Berdini, attenta allo studio e alla composizione di linguaggi ed elementi connotativi, delle scene, dei costumi e delle luci essenziali ma simbolici, funzionali quanto basta alla rappresentazione, a cura rispettivamente di Lorenzo Ciccarelli, Ilaria Carannante, Danilo Facco. Il risultato è uno spettacolo che lascia senza fiato, e questo non sarebbe possibile senza la bravura delle due attrici protagoniste, la cui recitazione si mostra di incredibile capacità espressiva e introspezione psicologica.