Per la terza sera consecutiva Marco Baliani è salito sulle tavole del palcoscenico del Teatro Donizetti di Bergamo, presentando l’ultimo capitolo della sua Personale intitolata “Una questione di giustizia”. Dopo due rappresentazioni trionfali, grazie alle mirabili interpretazioni di “Kohlhaas” di Kleist e “Corpo di Stato”, monologo scritto da Baliani stesso, il caloroso e numeroso pubblico bergamasco ha avuto la possibilità di assistere all’ultima fatica dell’attore-autore: “La notte delle lucciole”, scritto da Roberto Andò.
Questa volta Baliani non è solo in scena, ma accompagnato da cinque attori: Coco Leonardi e quattro giovanissimi. La scenografia di Gianni Carluccio ambienta la narrazione all’interno di un’aula di scuola degli anni Cinquanta, banchi di legno con panca annessa e calamaio, prima accatastati alla rinfusa, poi ordinatamente disposti ai lati del palcoscenico come quinte teatrali. Sul fondo una cattedra vuota, alla quale Baliani non siederà mai.
L’idea che pervade lo spettacolo è quella di mettere in scena un monologo interiore di Leonardo Sciascia, servendosi di brani tratti dalle sue numerose opere, assemblati a ricreare un lungo flusso di coscienza dello scrittore di Racalmuto, toccando le tematiche e gli argomenti più disparati. Apparentemente collegati dal filo rosso della riflessione sulla morte, gli stralci delle opere di Sciascia spaziano dal rapporto con Pasolini - e la sua terribile fine - alle condizioni dell’infanzia sfruttata nella Sicilia del Dopoguerra, dalla giovinezza dello scrittore alla sua esperienza di maestro, dal caso Moro alla partitocrazia, tutto senza una stringente logica consequenziale. È difficile seguire le disquisizioni del maestro di scuola elementare Sciascia interpretato da Baliani, il quale sembra rivolgersi più a se stesso che al pubblico in sala o ai ragazzi in scena. La presenza dei cinque comprimari, dapprima puramente scenografici, si ammanta di simbologie astruse che non sempre concordano con quanto enunciato dal testo (d’accordo che ‘le parole talvolta sono come pietre’, ma pochi spettatori credo abbiano colto tale allusione, assistendo al lento accumulo di sassi in proscenio).
Il più complesso degli spettacoli presentati da Baliani in questa sua rassegna teatrale - completo di arredi scenografici, personaggi interpretati da veri attori, vari e strani effetti ‘speciali’ che sembrano inseriti al solo scopo di aumentarne la complessità – non convince fino in fondo coloro che hanno amato “Kohlhaas” e “Corpo di Stato”. Appare, anzi, come un tradimento del teatro di narrazione così potentemente ed efficacemente presentato nelle due serate precedenti, quando la parola, nuda e cruda, era riuscita a compiere il miracolo di avvincere l’attenzione e l’emozione del pubblico senza condizioni.
Visto il
04-03-2010
al
Auditorium Bergamo
di Bergamo
(BG)