LA NOTTE POCO PRIMA DELLA FORESTA

La notte poco prima della foresta

La notte poco prima della foresta

Quando fu portato in scena per la prima volta nel 1977, al Festival d’Avignon, da un Koltès poco più che ventottenne, “La nuit juste avant les forêts” era un testo quanto mai attuale per l’epoca. Un lungo monologo, curiosamente caratterizzato da una sola frase che dura 63 pagine, senza alcuna pausa né interruzione. La storia di un uomo solo nel buio di una notte parigina, in preda al suo delirio, complice l’alcool,  vomita il suo fiume in piena di parole e senza prender fiato sembra esprimere un ultimo desiderio.
È dunque la parola lo strumento attraverso cui si snoda la storia.  Un uomo cerca di trattenere con tutte le parole  che riesce a trovare uno sconosciuto che ha abbordato per strada, una sera in cui è solo. Gli parla de suo universo, della sua storia, della sua solitudine in una periferia in cui piove e nella quale egli si sente terribilmente straniero, senza lavoro, senza amore, senza amici.
In scena Claudio Santamaria, icona del piccolo e grande schermo, torna a teatro e lo fa con coraggio, interpretando il ruolo di un anonimo avventore della notte, in un testo che non è certo uno dei più semplici del drammaturgo francese.  Parola dopo parola, l’anonimo straniero costruisce la sua storia in un mondo abitato da stronzi e puttane, da teppisti e poliziotti, in un mondo in cui si mescolano odori, rumori, fiumi di birra e il desiderio continuo di una stanza dove trovar riparo almeno per una notte.
Una regia, quella di Juan Diego Puerta Lopez, che colpisce per la semplicità e la resa asciutta e apparentemente ruvida: un palco ricoperto di detriti su cui la pioggia e il gioco di luci,  accrescono ancora di più il senso di solitudine e sconforto che attanagliano questo uomo.
L’azione risulta particolarmente statica, una scelta registica ben precisa dettata dalla particolarità del testo, tutto incentrato sul significato della parola; il risultato purtroppo è che lo spettacolo, soprattutto nella prima parte tradisce un ritmo troppo rallentato ed un’energia scenica quasi assente.
Le fasi finali, di contro, ci regalano un protagonista decisamente più presente, una tempesta di emozioni e sensazioni accentuata anche da quei colpi sferrati con violenza contro una struttura metallica (opera dell’artista Loredana Longo),posta sul fondo della scena.
Un testo che mette in risalto due tematiche fondamentali come la condizione dello straniero e la solitudine dell’essere umano e che, sebbene scritto più di trent’anni fa, ci appare ancora terribilmente attuale e capace di farci emozionare e riflettere allo stesso tempo. 

Visto il 11-02-2011
al Gustavo Modena di Genova (GE)