LA NOTTE POCO PRIMA DELLA FORESTA

Quando ti ho visto girare l'angolo della strada...

Quando ti ho visto girare l'angolo della strada...
Recanati (MC), teatro Persiani, “La notte poco prima della foresta” di Bernard-Marie Koltès QUANDO TI HO VISTO GIRARE L'ANGOLO DELLA STRADA... Koltès aveva ventott'anni quando “La notte poco prima della foresta” debuttò al festival di Avignone nel 1977. Forte segnale di drammaturgia sperimentale, il testo è un'unica frase lunga sessanta pagine senza mai un punto, scritto in modo circolare, così da poter essere iniziato e terminato in vari punti. Il tema trattato è quello della diversità e del rapporto con l'altro. Il protagonista è uno Straniero (inteso non nel senso di Camus ma come soggetto marginale), il quale passa attraverso stati diversi di alterazione, si rivolge a un interlocutore (più desiderato che reale) con cui stabilire un contatto e scuoterne i pregiudizi, soprattutto nei confronti degli stranieri e dei diversi. Al centro di tutto un nuovo concetto di nomadismo, l'angoscia di una vita non sedentaria vissuta con dolorosa precarietà. Qualche anno fa l'avevamo visto nella disincantata interpretazione di Giulio Scarpati, che lo affrontava dal punto di vista emozionale, sottolineando sensazioni, suggestioni, ricordi. Ora Claudio Santamaria è maggiormente analitico: la sua sequenza monofonica è una rabbia incontenibile e quasi reiterata meccanicamente (illuminante in tal senso il finale). Santamaria presenta un uomo di “ossa, muscoli e sangue”; recita in piedi, di spalle, accovacciato, in ginocchio, rannicchiato su un fianco, le grandi mani sempre aperte. Indossa pantaloni neri e un cappotto aperto sul petto glabro nudo, che poi appoggerà per terra. Il testo (simbolico e concreto, carnale e poetico) viene sussurrato, urlato, amplificato, perdendo la valenza di religiosità profana. L'interlocutore è fisicamente assente, oltre che ignoto: “ti parlo senza conoscerti davvero”. Il regista Juan Diego Puerta Lopez spinge meno sul registro di inno alla latitanza (dalla vita, dai sentimenti), di diario privato, di preghiera profana del testo, per amplificare il senso di rabbia e di invettiva, più vicini alla condizione di molti giovani di oggi. Così la parabola del Nicaragua e il manifesto sindacale per la difesa dei delinquenti cagionevoli assumono un rilievo maggiore nel contesto. La pioggia sottende all'inizio: “Quando ti ho visto girare l'angolo della strada piove (...) La pioggia toglie ogni possibilità”. Ma l'altro è una necessità: “Malgrado la pioggia e i vestiti bagnati ho corso, perchè questa volta non mi trovassi in una strada vuota di te: ho il coraggio di abbordarti, di prenderti tra le braccia, compagno”. Il senso di smarrimento è denso: “Ho perduto la mia camera, cerco una camera per questa notte soltanto, cerco una stanza per una parte della notte perchè non trovo più la mia”. Ma si conosce davvero qualcuno? “Come fai a dire di conoscere una persona se non sai come respira dopo aver scopato”. Straniero lui, per sempre: “Non amo quello che mi ricorda che sono straniero, eppure lo sono”. E nomade: “tutta la mia vita voglio camminare, qualche volta correre, forse fermarmi su una panchina (...) Non vorrei che lo specchio mi guardasse (...) E questi vestiti bagnati di pioggia che non si asciugano”. E, alla fine: “Partirò prima che sia giorno, prima che tu non ne possa più di me”. Ma rimane. E colpisce con un ferro una palizzata di ferri contorti che fuoriescono dal pavimento come nelle case abusive non ultimate. Voglia/necessità di picchiare, di spaccare tutto. Non c'è erba, non c'è cielo: l'uomo dov'è? Nel finale colpi nel silenzio di ferro su ferro. Morbide le matrici sonore utilizzate, oltre al rumore non di pioggia ma di acqua che scorre. Le luci sono per la maggior parte gialle sul protagonista e bianche sulla scena e sono parse ancora in fase di aggiustamento. La scena, più che a una cava, rimanda alle rovine di un edificio, con pietre bianche squadrate (usate da Santamaria per sedere, salire sopra), frammenti di sanitari, ferri aggrovigliati. Il pubblico ha seguito con attenzione l'atto unico, tributando al protagonista molti applausi finali, anche per la sua notorietà cinematografica (inevitabili, evidentemente, le foto coi flash). Visto a Recanati (MC), teatro Persiani, il 04 marzo 2010 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Toniolo di Mestre (VE)