Rappresentato per la prima volta al Festival Off di Avignone nel 1977, "La notte poco prima della foresta" si presenta come archetipo contemporaneo di drammaturgia dirompente e sperimentale funzionale ad esplorare l´universo della diversità e del rapporto con l' "altro": trattasi di una sola interminabile frase di 63 pagine che si avvita su se stessa e che ricorda il Calvino di "Se una notte di inverno un viaggiatore"
Il testo di Koltès, da cui la pièce è tratta, è un' lunghissimo ed appassionato flusso di coscienza che prorompe dalle intime ed insondabili profondità di un uomo giovane, uno straniero che gira di notte per le strade di una città non sua, cercando qualcuno con cui istituire un contatto e rimuoverne i pregiudizi verso chi vive la sua condizione, con qualcuno, insomma, capace di ascoltare, qualcuno che "non se ne vada,
lasciandoti lì come uno stronzo".
La solitudine del protagonista, un duttile quanto convincente Claudio Santamaria, non è lucida, contenuta e virile estraneità al mondo, anzi è una solitudine che straripa in un fiume di parole sconnesse e deliranti che diventano presto un fiume di suoni e di clangori, riverbero immediato della nostra rutilante quotidianità metropolitana, tanto chiassosa, quanto, a tratti, respingente.
La foresta è rappresentazione della nostra giungla giornaliera e la notte immagine dell´inevitabile e verificabile catabasi che dobbiamo affrontare; l'unico modo per sopravvivere a tutto ciò, è staccarsi da essa, farsi leggeri ed impalpabili, perdersi nella foresta, quella del lontano Nicaragua, idilliaco territorio senza eserciti né controllo (anabasi).
La notte allora si configura come un'eco di "munchiana" memoria, un urlo atterrito e sanguinante per voce sola, una sequenza monofonica ed ipogetica di incontenibile rabbia, tanto dolente e reiterata da offrirsi meccanimente come suggestivo loop; il tutto, in una cornice di nomadismo, senza un attimo di respiro, nell'angoscia di una vita vissuta con dolorosa precarietà.
L'allestimento, curato da Carmine Guarino, contribuisce a comunicare allo spettatore un senso di assoluto smarrimento: il regista lo ha sagacemente pensato come uno spazio astratto e metafisico, occupato da macerie, una strada vuota nella penombra di un ponte, a cui la luce, l'ambienza e certe sonorità (le musiche originali sono di Giuliano Sangiorgi, leader del gruppo musicale pugliese dei Negramaro) conferiscono un valore decisamente evocativo, uno spazio insolito ed allucinato in cui si muove l'eroe protagonista di questo "viaggio al termine della notte", eroe che possiamo facilmente riconoscere in uno di quei soggetti marginali che a tratti invadono la nostra quotidianità mentre camminiamo per strada, mentre andiamo al bar, mentre prenotiamo il tavolo al ristorante, oppure, magari, quando stiamo seduti comodamente a teatro, attendendo soltanto che si apra il sipario!
Visto il
09-03-2010
al
Piccolo Eliseo Patroni Griffi
di Roma
(RM)