Scopatori, giornalai, pizzaiuoli, acquafrescai, cantanti, innamorati, carcerati, traditi, guappi, papponi, sciantose, amanti, prostitute, cafoncelli, soldati, malafemmene e fronnalimonisti: se avessero fatto in tempo ad esistere con Viviani, non sarebbero mancati nemmeno gli scartiloffisti.
È la varia umanità che rotea nelle idee di un medley costruito da Mario Aterrano attorno ad una Lei, la 'gnora che rappresenta il fulcro posto all'angolo di passaggio di un vicolo nel quale ti fermi, ed in breve tempo succede tutto, ma è un tutto fatto di niente, come il niente in cui Viviani affondava le mani, tirandone fuori personaggi che anziché durante la Grande Guerra o la successiva, campavano tutti i giorni, e la loro era la guerra quotidiana, per vincere la quale di norma si doveva arrivare a mangiare almeno una volta.
E fra dileggi, vaneggi, vanaglorie, disturbate, eroismi, campanilismi ed afflati universali, il regista costruisce un percorso che unisce alcuni dei tratti più significativi dello Stabiese, scendendo nell'essenza dei movimenti di chi a quattro anni già calcava le assi dei palcoscenici popolari indossando un frac: Raffaele Viviani è stato tagliato e cucito, prendendo soprattutto spunto dalle sue opere concepite nella maturità (in particolare dai Dieci Comandamenti), ed affondando le mani in una versione che predilige il musical agli altri possibili sbocchi.
Con questo abbrivio, le voci affidabili di Anna Spagnuolo e Patrizia Spinosi, come protagoniste particolari fra gli altri, passano attraverso le note di ben trenta fra canzoni, accompagnamenti musicali e macchiette di VIviani, fra cui non è facile scegliere cosa ricordare, e la lista del tutto personale perciò comprende almeno Bambenella, Montemurro, Madame Legery, Fore 'o vascio e 'a Rumba d'e scugnizze. Con quest'ultima, in particolare, che nasce dalla percussione inventata su una cassetta di legno. Una scelta che fa risaltare quindi l'aspetto musicale, che viene sottolineato dalla chitarra e dagli arrangiamenti di Michele Bonè, accompagnato da Giuseppe Di Colandrea al clarinetto.
Se cadesse nella facile deriva oleografica, potrebbe essere un programma di cui potrebbe farsi volentieri a meno, ed invece la rivelazione è l'atmosfera di convinta partecipazione corale, e dello spirito chansonnieristico di Aterrano in particolare, che rende il tutto un appuntamento serio ed insieme leggero, anche grazie all'idea registica di puntare su quattro quadri (i mestieri, i vicoli, il dopoguerra ed il varietà), fra i quali si muovono con una certa sicurezza i personaggi che si avvicendano come le voci di quel vicolo, fra le piacevoli interpunzioni danzanti di Carolina Aterrano, e con un ricordo particolare nella felice interpretazione di Marco Palmieri con il suo Mimì di Montemurro.