La nuova colonia, scritta da Pirandello nel 1926, è andata in scena per la prima volta al teatro Argentina di roma, con Marta Abba (cui è dedicata) il 24 marzo del 1928. Prima delle tre commedie del teatro dei miti, La nuova colonia, definita mito sociale, (Lazzaro è il mito religioso, l'incompiuto I giganti della montagna, il mito dell'arte) si distingue dalle altre commedie pirandelliane per essere diversa sia dai testi borghesi che dalle commedie di impianto metateatrale. Racconta di una pletora di marinai disoccupati ai margini o dentro la malavita e quindi considerati irredimibili dalla società, che decidono di darsi nuova vita andando ad abitare una ex colonia penale, un'isola vulcanica ormai disabitata da tempo perchè sta lentamente sprofondando in mare. Tra gli accoliti di questo eterogeneo gruppo anche Dorò, il figlio del padrone locale Nocio, l'unico che prova sentimenti umani per Spera, una prostituta redenta dalla maternità, e Currao, uno dei marinai che diventa il capo dell'isola. La nuova repubblica funziona a stento tra liti, pazzie e lussuria per la Spera che li ha seguiti sull'isola per smettere di fare la vita, e viene minata del tutto quando sull'isola giunge Padron Nocio con delle donne. Ecco che il nuovo ordine sociale viene sovvertito dal ritorno dei vecchi attori sociali: Spera torna ad essere una prostituta, Currao vagheggia di sposare la figlia di Nocio e per questo è deciso a coronare l'unione adottando il figlio della Spera. Ma l'isola sprofonda in mare lasciando in vita solamente Spera e il suo bambino.
Gaetano Tramontana, della associazione SpazioTeatro di Reggio Calabria, affronta il testo pirandelliano in maniera coraggiosa e radicale. Del suo poderoso impianto narrativo (prologo più tre atti, oltre 24 personaggi) Tramontana mette in scena i soli personaggi di Spera, Dorò, suo padre Nocio, Currao, e Crocco. Domenica Buda interpreta Spera e Tramontana tutti i personaggi maschili con l'ausilio di una semplice maschera, che indossa e smette di volta in volta, mentre quando è Dorò parla direttamente al pubblico, facendo da raccordo narrativo tra le varie parti della storia. Nel racconto di Dorò Tramonto usa, senza soluzione di continuità, le didascalie del testo pirandelliano, comprese le considerazioni sui personaggi (le didascalie, maniacali, descrivono carattere, aspetto e vestiario di ogni personaggio) un suo riassunto personale (solo in un paio di occasioni troppo moderno) e i dialoghi ritrascritti in discorso indiretto delle parti tagliate, riducendo il testo ai suoi aspetti universali, ignorando le parti contemporanee e sociali che Pirandello mette nella commedia (come, per esempio, le differenze cultural-sociali tra i braccianti marinai e i contadinotti arricchiti che arrivano dalla montagna, nel prologo) spostando la lingua dall'italiano di Pirandello alla cadenza del dialetto siculo (italianizzato).
Un'operazione ardua e impavida completamente riuscita: pur modificando sensibilmente il testo la nuova colonia di Spazioteatro rimane squisitamente di Pirandello: un'amara riflessione sull'ineluttabilità della condizione ferina dell'uomo, cui è destinato a rimanere non importa gli sforzi che faccia per elevarsene. Il potere corrompe tutti, il ruolo sociale ci è imposto dalla semplice presenza di altri simili (Spera che ritorna a fare la prostituta appena sull'isola compaiono altre donne) mentre il sopruso, la menzogna e l'omicidio (assieme alla follia e al relativismo della verità) sono le coordinate della vita maschile.
Il finale, leggermente diverso da quello originale, vede Dorò (figlio del padrone e trait-d'union tra due generazioni oltre che due classi sociali) sopravvivere allo sprofondare dell'isola (altrimenti non potrebbe esser lì a raccontarci i fatti) assieme a Spera che rimane abbarbicata all'unico scoglio rimasto in superficie (ma è chiaramente un finale simbolico e non concreto), stemperando così l'unica pecca del testo pirandelliano quell'ipostatizzare che l'unica funzione del femminile sia quella di prendersi cura dell'uomo (Basta del mio mestiere! Lo faccio per questo! Servirvi, farvi da mangiare, badare alle vostre robe, curarvi se siete malati... dice Spera nel prologo, quando decide di unirsi ai marinai nel viaggio verso l'isola) Se Spera è l'unica a sopravvivere nel finale originale, proprio in quanto madre (dopo tutto il testo è del 1928...) nella versione di SpazioTeatro sopravvive anche la nuova generazione unico testimone del fallimento dei padri.
La nuova colonia è uno spettacolo pienamente riuscito, elegante, ben recitato (anche se Domenica Buda a tratti ha una recitazione troppo disinvolta che tradisce la sua giovane età), e va premiato con una presenza numerosa in sala. Avete occasione per farlo fino a Domenica 31.
Visto il
27-01-2010
al
Belli
di Roma
(RM)