Musica
LA PAROLA CANTA

Il varietà moderno che rifugge i cliché

Il varietà moderno che rifugge i cliché

Raccontare Napoli senza cadere nei luoghi comuni non è sempre facile, e ci riescono soprattutto quelli che l’hanno capita e amata fino in fondo. Toni e Peppe Servillo, con La Parola Canta, possono essere annoverati tra costoro, perché per raccontare la città, hanno attinto a piene mani dalla tradizione, rimodellando e personalizzando un patrimonio culturale - tra letteratura, musica, e poesia – di valore inestimabile che va da Eduardo De Filippo, Raffaele Viviani, e Libero Bovio, fino ai contemporanei Enzo Moscato, Mimmo Borrelli, Michele Sovente. Il risultato è un “varietà moderno”, come lo ha definito lo stesso Peppe Servillo, in cui la lingua napoletana, cantata, recitata, declamata, sussurrata, con la complicità degli ottimi arrangiamenti in chiave jazz, folk e pop dei Solis String Quartet, diventa ora pensiero ed istinto, ora azione e reazione.

Su un palcoscenico essenziale, con un solo sfondo cangiante dal celeste-cielo al blu notte, i fratelli Servillo insieme con i Solis hanno imbastito uno spettacolo che, nel raccontare la guapparia, l’indolenza, la sfacciataggine, la scurrilità, la leggerezza di una città paradossale come Napoli, muove al riso, spesso ironico, e al pianto, attraverso personaggi come “Vincenzo De Pretore” o “L’ommo sbagliato”, interpretati da Toni Servillo in una maniera tale da darci l’impressione di stare attraversando un vicolo di Napoli ascoltando un popolano parlare, ora con una cadenza trascinata, ora cantilenante.

Non solo. “La Parola Canta” celebra la passione non necessariamente corrisposta, come nel caso di “Canzone appassiunata”, cantata in versione marcatamente Avion Travel così come tutti gli interventi musicali di Peppe Servillo, o dell’efficace e sensuale brano strumentale “Mozartango”, una suite in cui il crescendo musicale crea la giusta tensione emotiva e culmina in un finale potente, strappando un’ovazione al pubblico. Un viaggio dentro la tradizione cui gli artisti, ciascuno con il proprio spazio, approcciano senza l’evidente intenzione di stravolgerla, ma con il solo scopo di offrire allo spettatore la possibilità di liberare l’immaginazione e consentirgli di stare dentro, e vedere i luoghi che si narrano, come il Paradiso di Vincenzo De Pretore, o il mare luccicante d’estate con tanto di donne scoperte e relativi pensieri malandrini.

“La Parola Canta” riesce ad evitare i cliché perché non restituisce un’oleografia della città, non parla di Napoli, ma sul palcoscenico è Napoli, incarnata dalla musicalità della sua anticalingua che, come recita Toni Servillo, riprendendo i versi del poeta flegreo Michele Sovente:

Cuce, racconta questa lingua stordita schegge e cocci di esistenze che più dei sogni al buio sono restate.
Chiama questa lingua selvaggia un turbinio, una festa di nomi voci colori.
Questa lingua così discreta, questa lingua così nuda
”.

Visto il 05-01-2016
al Bellini di Napoli (NA)