Prosa
DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO

La parola, sopra ogni cosa…


	La parola, sopra ogni cosa…

La parola, sopra ogni cosa. La passione nelle viscere di ogni cosa.

La voce. Il corpo. Il buio e la luce.

Un pianoforte a coda nero, il suo incanto, il suo grido stonato.

"Anna Karenina, prove aperte di infelicità", scritto da Sonia Bergamasco ed Emanuele Trevi, è un viaggio (sorprendentemente astratto e carnale allo stesso tempo) nella genesi di uno dei romanzi più possenti della letteratura mondiale. Per Dostoevskij Anna Karenina "in quanto opera d'arte è la perfezione"

Ma come nasce la perfezione? come, un capolavoro?

La visione, improvvisa, di un gomito, nudo, elegante, di una donna infelice. L'ossessione di quella immagine che perseguita Tolstoj per anni. La morte cruenta sui binari di un treno dell'amante di un suo vicino di casa (una tale Anna). L'ossessione, di nuovo, di osservare, di scrutare, quel corpo lacerato. Fantasmi che non lo abbandonano costringendolo a rinunciare a  qualsiasi altro progetto dopo "Guerra e pace" per dedicarsi, anima e corpo, a questa donna immaginaria che prende vita nelle sue fantasie, che, spinta da sentimenti violenti e sinceri si muove a disagio nella insopportabile, ingessata, alta società russa di fine 800, il cui nome diventa Anna solo dopo diverse stesure, dopo euforici periodi di fertilità creativa e profondissime crisi in cui tutto viene rimesso in discussione e addirittura cestinato.

Ma è proprio questo che lo spettacolo, elegantemente diretto da Giuseppe Bertolucci ed impreziosito dal gioco di luci di Cesare Accetta, vuole rappresentare: il  mistero e la magia della creazione di un'opera d'arte.

Un capolavoro non nasce mai in modo semplice, anche se una volta finito sembra non poter essere mai stato scritto in alcun altro modo che quello in cui ci appare sotto gli occhi. Un capolavoro nasce dal più profondo dell'animo di un artista. Ne rispecchia il più intimo sentire. La fantasia non è altro che il riuscire a discendere nel proprio essere più profondo e reale, destinato a rimanere negli abissi se improvvise intuizioni, episodi totalmente estranei non lo scuotessero aiutandoci, costringendoci a volte, a riconoscerlo e tirarlo fuori.

Tuttavia, siamo solo all'inizio. ("E quando si vede la verità, che mai si può fare?" si chiede Anna Karenina)

Da quella intuizione, da quell'insieme di sensazioni e sentimenti profondamente scossi, ma ancora privi di senso, da quella, vogliamo dire....ispirazione? comincia un fatiscossimo viaggio di esplorazione, una presa di coscienza dolorosa e nebulosa in cui l'artista procede a tratti, a tentoni, tirando fuori tutto e scartando di conseguenza il superfluo, l'ingannevole, il falso, incasellando tra loro i concetti, i pensieri, le passioni più "reali" costruendo un complesso castello di emozioni fino al compimento ultimo dell'opera.

"Come posso esprimere in parole quello che sento?" si chiede ancora Anna nel romanzo. Eppure Tolstoj c'è riuscito, ad esprimere in parole sentimenti devastanti per intensità e violenza, in una maniera così sublime che la Bergamasco si pone una domanda speculare: Come si può esprimere in voce la potenza che emerge dalla parola scritta dell'autore?

Ecco quindi la scelta interpretativa singolare e indovinata. L'attrice rinuncia a qualsivoglia tentativo di "realismo" o "naturalezza" poichè più si tenta di avvicinarsi alla "verità" dello scritto di Tolstoj più inevitabilmente se ne darà una interpretazione personale, perciò stesso mendace. E allora quel che resta è affidarsi alla parola in quanto tale.

Perfetta, sul palcoscenico, suadente, incisiva come una lama ma fredda, quasi manichea nella rappresentazione della prima parte dello spettacolo in cui esplora soprattutto la genesi del romanzo interpretando l'autore stesso, la moglie ed una morbosa voce narrante, Sonia diventa, poi, parossisticamente isterica e sopra le righe quando si addentra nelle pagine del romanzo interpretando il tormento di Anna. Rinunciando alla immedesimazione con la Karenina ed a qualsiasi tentativo di renderla simpatica o "umana" ma riflettendo (più che il comportamento esteriore del personaggio)  la folle disperazione della sua anima, quasi che quei deliri di gelosia e dolore  accadano solo dentro di lei mentre, composta, impartisce ordini a una domestica o siede da sola su un divano.

Ma l'omaggio più intenso al testo di Tolstoj vien fatto nel raccontare la sua possente capacità di esprimere in parole, come pochissimi, l' incontrollabile delirio a cui porta la passione della carne. E qui la Bergamasco dà forse il meglio di se accompagnando le parole con cui l'autore descrive l'incontenibile erotismo dei desideri della sua eroina ad un utilizzo del proprio corpo come strumento musicale vibrante e stonato al pari del pianoforte che divide con lei la scena. Suonandolo (splendido Chaikovsky) con amore e tormentandolo. Facendosi possedere (in un amplesso memorabile) e possedendolo, lacerandolo fin nelle viscere e facendosi lacerare fino al suicidio, così inevitabile come "coraggioso" e consapevole atto di protesta contro una società regina dell'ipocrisia anche se, come lo stesso Tolstoj meravigliosamente scrive "in quell’attimo stesso inorridì di quello che faceva"...

Uno spettacolo davvero da non perdere.

Visto il 12-04-2012