La Napoli di Malaparte, dal ventre putrescente e guasto, che vive in una continuo rigurgito infetto e miasmatico è tutta un vicolo, un budello, una “saittella” che non conosce sole, aria che non meni peste: è abisso della catabasi e conato inespresso all’anabasi e, in tale ancestrale prospettiva semantica, è il luogo in cui osserviamo un autentico teatro artaudiano, è veleno ed antidoto insieme, antichissimo catartico farmakos che a stento lenisce le mortali piaghe infetidite.
Marco Baliani, adattando e dirigendo questa messinscena del romanzo di K.E.Suckert ( alias Curzio Malaparte) coglie con grande intelligenza performativa il semenzaio di spunti e circostanze che meglio sintetizzano l’idea poetica e politica dell’opera, anzi, mostrando grande acutezza ermeneutica, asciuga di ogni ingombrante barocchismo la struttura poetico-narrativa della storia in modo tale da non tradire l’immagine interiore e lo scheletro morale del corpo civile stuprato e lacerato dalla fame.
Gli interpreti, calati fibra a fibra nella continua oscura notte di una topografia del sottosuolo, sono creature altre e allucinate, escluse da qualsiasi attiva partecipazione agli affetti umani, abbacinate da un sinistro e seducente cupio dissolvi che li rende alternamente vittime e carnefici, ostie di pelle vendute ed acquistate in una liturgia di scalcinata urbanità e modesta caduca redenzione.
Durante la messinscena, Marco Baliani ci conduce con la lucidità di uno storico o di un documentarista all’interno di un incubo, nei segreti ricetti infernali in cui la legge è quotidianamente infranta ed in cui risuona l’eco ferina ed impietosa di una oscura e violenta hybris che vive nell’esibita e compiaciuta rappresentazione dello sfascio morale che investì tutta Europa e di cui Napoli è la metafora più chiara.
Infine, un dubbio ci sorge e ci inquieta: nei tableaux vivant che, per frammenti, ci presentano l’ignominioso scandalo di un mondo in cui tutto, pelle umana compresa, è oggetto di un immondo e ripugnante mercimonio, Marco Baliani sembra volerci argutamente suggerire che potremmo ancora vedere, fatte le debite distinzioni, e sottratti altresì alibi e giustificazioni proprie della diroccata e disperata realtà postbellica, il volto vero e selvaggio della nostra società in cui tutto continua ancora ad essere in vendita ed una macabra tarantella appena ottunde la voce della vergine puttana che, vieppiù viscida e marcia, latra e si muove dietro il doppiopetto Caraceni o sotto l’abito da sera appena preso dalla stireria del Ritz.
Napoli, Teatro Mercadante, 05/11/08
Visto il
al
Fraschini
di Pavia
(PV)