Lirica
LA PICCOLA VOLPE ASTUTA

Realismo magico

Realismo magico

Al Regio di Torino è in scena La piccola volpe astuta di Leos Janacek, rappresentazione inserita in un progetto pluriennale dedicato al compositore cecoslovacco interamente affidato ad allestimenti che Robert Carsen ha sviluppato nel giro di alcuni anni per l’Opera du Rhin. La piccola volpe astuta, nonostante le difficoltà linguistiche (il testo è in ceco e dialetto moravo) che la rendono di non immediata fruizione, è una presenza sempre più importante nei cartelloni dei principali teatri internazionali e alcune regie recenti, come quella di Laurent Pelly apprezzata a Firenze, hanno contribuito alla sua divulgazione.
L’opera sfugge a definizioni precise: è una favola per la presenza di personaggi umani e animali, ha dei tratti della commedia ma senza lieto fine, non ha vere e proprie arie ma un tessuto orchestrale connettivo ricco di interludi sinfonici che guardano al folclore slavo e al sinfonismo austro-tedesco. Data la coesistenza di mondi e registri diversi, quello umano e animale, il comico e il tragico, favola e realtà, l’opera pone numerose sfide per una sua messa in scena, ma Carsen riesce a fare coesistere tutto ciò con l’occhio ironico ed affettuoso che gli è proprio, senza dare un giudizio moraleggiante (inconveniente tipico di una fiaba) e sia gli uomini che gli animali risultano simpatici e la regia del canadese è fedele all’ottimismo di fondo che pervade l’opera del compositore ceco.

La natura è la vera protagonista dell’opera e l’allestimento mette in scena con poesia e dolcezza  l’inevitabile ciclicità di vita e morte ed il susseguirsi delle stagioni. L’impianto scenico  di Gideon Davey (artista che ha firmato per Carsen riuscite scenografie come l’Armida vista a Parigi) è costituito da un rilievo ondulato che muta aspetto a seconda delle stagioni: coperto da foglie autunnali declinate nei toni dell’arancio e del marrone nel primo atto, poi rivestito da un manto nevoso nel secondo atto che si ritira a vista all’inizio del terzo per evocare il  disgelo e svelare verdi prati erbosi. I rilievi sono funzionali a un brulicante movimento scenico e coreografico: ospitano il rapido scivolare degli animaletti del bosco e presentano cavità dove potersi nascondere. Il sottobosco è protagonista, ma Carsen riesce comunque con pochi tratti - una staccionata che si staglia contro i pascoli, una birreria all’aperto, le conversazioni fra soli uomini –  ad evocare (e si percepisce una punta di nostalgia) il  mondo rurale slavo caro a Janacek. Di grande fascino e bellezza le luci dello stesso Carsen, capaci di sfumare senza soluzione di continuità dalla fiaba alla realtà, in un gioco di dissolvenze cinematografiche in assoluta sintonia con la musica.
Ci sono piaciuti anche i costumi ideati dallo scenografo per gli animali: felpe arancioni col cappuccio, leggins neri e code di cavallo fulve e sbarazzine che suggeriscono gli animali senza fare uso di maschere in un giusto mix di antropomorfismo e animalità.
La regia lascia giustamente compenetrare i due mondi abolendo nette linee di demarcazione:  quando gli animali interagiscono con gli uomini prevale la loro animalità (camminano veloci a quattro zampe, si spulciano, fanno le capriole, strofinano i musetti, si annusano), quando però sono fra loro presentano veri e propri caratteri e come nelle fiabe di Esopo sono uno specchio di umani vizi e virtù. Nel corso dell’opera assistiamo ad una “educazione sentimentale” della volpe protagonista:  dapprima l’inesperienza e l'ingenuità infantile, poi la rivolta e la scoperta del sesso e della seduzione, la maternità e infine la morte: la volpe Bystrouska diventa un pezzo di pelliccia ma i suoi volpacchiotti continueranno ad animare la vita del bosco. Carsen nel finale, con una licenza registica che sottolinea la ciclicità della vita, affida la battuta della rana (“ io non sono quella là... era mia nonna”) a una volpe bambina.

Per quanto riguarda la distribuzione vocale, i ruoli degli animali sono principalmente affidati a voci femminili mentre quelli umani a voci maschili e anche le voci bianche  sono importanti per caratterizzare alcuni animali e situazioni. Assoluta protagonista la volpe Bystrouska di Lucie Silkenova per la voce lirica e fresca e per la capacità di restituire con le sue movenze veloci e argute il carattere e le sembianze di una volpe: assolutamente perfetta. Svatopluk Sem tratteggia con calda voce baritonale l’evoluzione di un guardacaccia ruvido ma bonario. Bene anche le altre parti di fianco: Michaela Kapustova è una volpe maschio partecipe, incisivo il trafficante di pollame Harasta di Jakub Kettner.
Completano adeguatamente il cast la moglie del guardiacaccia di Eliska Weissova, il maestro di Jaroslav Brezin e il parroco (e il tasso) di Ladislav Mlejnek.

La direzione di Latham-Koenig è briosa e vivace e quindi funzionale alla favola e al racconto ma è meno nitida per quanto riguarda la precisione timbrica ed alcuni dettagli della strumentazione passano inosservati.

Applausi calorosi per uno spettacolo che mette d’accordo tutti (anche i numerosi bambini presenti in sala): da vedere e godere.

Visto il 24-01-2016
al Regio di Torino (TO)