Lirica
LA PIETRA DEL PARAGONE

Parma, “La pietra del paragon…

Parma, “La pietra del paragon…
Parma, “La pietra del paragone” di Gioachino Rossini UNA “PIETRA” CHE NON TEME PARAGONE Rappresentata per la prima volta nel 1812, “La pietra del paragone” segnò il debutto del ventenne Gioachino Rossini alla Scala e la sua conquista definitiva del campo teatrale, un debutto presto circondato dalla leggenda. L'opera divenne subito popolarissima, ma rimase in repertorio solo una quindicina d'anni, sopraffatta dai mutati tempi che consentirono la sopravvivenza solo alle maggiori opere rossiniane, scritte dal compositore nei mesi immediatamente successivi. Fino a quel momento il Pesarese aveva scritto, nel campo dell'opera comica, soltanto farse, cioè lavori in un atto. E ora si cimentava, nel massimo teatro italiano, con la forma grande. Il librettista era autorevole, Luigi Romanelli, corretto versificatore, di solido mestiere e dotato di buona cultura: così il libretto riuscì di ottima fattura, solo un poco prolisso, soprattutto nel secondo atto. La partitura è monumentale, comprendendo il repertorio completo della musica teatrale dell'epoca e delle sue forme, tanto da costituire una geniale e folgorante prova generale di tutto il suo teatro comico, singolare mescolanza di sentimenti e ritmo. Stendhal là amò a tal punto da ritenerla il capolavoro del genere buffo. Che conserva ancora una grande attualità, con le argute battute sui giornalisti, sugli artisti, sugli opportunisti, sugli arricchiti e su quelli che vogliono arricchirsi, sugli arrampicatori sociali: una girandola di invenzioni che ancora oggi fa sorridere. “La pietra del paragone” arriva al Regio per la prima volta; a Parma è stata data solo nel 1824 nel teatro Ducale (l'attuale Regio è stato inaugurato nel 1829). E arriva ponendosi come una “pietra miliare” quanto all'allestimento, una pietra che non teme paragone. Infatti la regia rispecchia appieno lo spirito di Rossini, attualizzandolo ma solo temporalmente e mantenendone il garbo, l'ironia, il quieto e pacato divertimento. Che diventa irresistibile grazie ad alcune trovate sceniche ed alla tecnologia utilizzata, il “blue back”. C'è uno sdoppiamento su due piani, quello del palcoscenico, in cui si muovono gli attori nel nulla, e quello dello schermo, in cui gli attori si trovano sullo sfondo di una villa anni Sessanta, proiezione virtuale di piccoli modellini. Geniale, stupefacente. Bellissimo. Giorgio Barberio Corsetti ha un'interessante frequentazione di allestimenti di prosa caratterizzati da video e filmati; qui divide regia, scenografia e video con Pierrick Sorin, geniale e imprevedibile video-maker francese che debutta nell'opera lirica usando le più sofisticate tecniche video digitali come parte integrante per la costruzione, indiretta, della messinscena. I due immaginano i personaggi sospesi in un tempo senza tempo nella villa di Asdrubale, in una perenne vacanza dei sensi e dello spirito. Il Conte esita a prendere moglie, forse non vuole ferire il suo migliore amico Giocondo, che ama Clarice, o forse non sa se Clarice è davvero innamorata di lui o se, anche lei, mira ai suoi soldi (come Fulvia e Aspasia). Entrambi intelligenti ed ironici, la loro storia d'amore è intelligente ed ironica, ambientata in un ambiente borghese, ricco e un po' annoiato, vicino al nostro tempo. Che però è un tempo sospeso, appunto: un tempo fuori dal tempo. Geniale la trovata dell'allestimento: telecamere digitali riprendono piccoli modellini delle scene, proiettando le immagini su tre o sei grandissimi schermi sospesi a fondo scena; i cantanti si muovono nel vuoto, in una scena blu che è puramente virtuale. Ma al contempo, ripresi anch'essi da telecamere digitali, negli schermi essi appaiono sullo sfondo delle scene. Mentre i personaggi si muovono nel nulla delle loro aspirazioni e sentimenti, li ritroviamo nella pura virtualità degli schermi inseriti in un contesto perfettamente caratterizzato. Dunque un allestimento da non perdere, geniale e perfetto nell'apparente semplicità, tecnicamente incredibile (sembra di essere al cinema) che mette a dura prova i cantanti, richiedendo una mimica curata e accentuata e soprattutto una totale condivisione dello spirito dello spettacolo. Il cast ben risponde alle sollecitazioni dei registi e tutti rivelano capacità attoriale e mimica sorprendenti. Michele Pertusi è un conte Asdrubale di notevole spessore e di finezze psicologiche. Sonia Prina si muove a suo agio nei panni e nella vocalità della marchesa Clarice. Daniela Pini e Paola Cigna sono corrette nei ruoli della baronessa Aspasia e di Donna Fulvia, in pratica le sorellastre di Cenerentola. Bene anche Joan Martin-Royo (un giovanile e pungente Macrobio); con lui Christian Senn (Pacuvio) e Filippo Polinelli (Fabrizio). Qualche difficoltà ha rivelato il cavalier Giocondo di Josè Manuel Zapata, soprattutto nel registro alto. Jean-Christophe Spinosi ha diretto bene l'orchestra del Regio; abituato a dirigere musica barocca come se fosse rock, il giovane maestro ha portato energia e decisione nel golfo mistico, anche se si sono perse alcune trasparenze. I numerosi tagli, soprattutto nel secondo atto, hanno dato maggiore incalzo all'azione senza penalizzare la drammaturgia. Il Coro del Regio è stato ben preparato da Martino Faggiani. Colorati e giocosi i costumi, splendidi, di Christian Taraborrelli, perfette le luci di Gianluca Cappelletti. Entusiasmo del pubblico la sera della prima, a cui è seguita una cena in onore degli artisti, suggestivamente ambientata nella sala prove del sottotetto. Poi, come nelle favole, poco dopo mezzanotte, siamo usciti dal teatro. E tutto è tornato come prima. Visto a Parma, teatro Regio, il 13 dicembre 2006 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Regio di Parma (PR)