Salvatore Sciarrino è uno dei più importanti compositori italiani in attività e gode all’estero di grande prestigio, non a caso la sua opera “La porta della legge” è stata commissionata dal Teatro dell’Opera di Wuppertal, area tedesca per tradizione orientata alla sperimentazione artistica, dove è andata in scena nel 2009 per poi debuttare con successo a New York, Bogotà e Ostrava. La Fenice, uno dei pochi Enti lirici italiani che inserisce regolarmente in cartellone l’opera del presente, colma ora la lacuna proponendo l’allestimento originale ma con libretto in italiano. Il soggetto dell’opera, tratto dal racconto “Davanti alla legge” di Franz Kafka, narra di un uomo che, giunto davanti alla porta della legge, vorrebbe entrare ma un usciere gli dice che per ora non può. L’uomo trascorre la vita in un’inutile e lacerante attesa e solo prima di morire verrà informato dal guardiano che quella porta era solo per lui.
Sciarrino stesso ha rielaborato il racconto sotto forma di dialogo e ne ha fatto un dramma circolare in quanto la stessa vicenda si ripete tre volte con piccole varianti di testo e articolazione vocale: mentre l’usciere è sempre un basso, l’uomo è inizialmente interpretato da un baritono, poi da un controtenore e alla fine da entrambi. La reiterazione della scena inserisce in una prospettiva universale il dramma del singolo e l’uso marcato della ripetizione di frammenti testuali espressi da una mente alienata e un tessuto connettivo orchestrale sempre teso creano una situazione di angoscia in cui è già scritta la catastrofe. Rispetto all’enigmatico racconto kafkiano si avverte una maggiore connotazione “politica” nella denuncia degli effetti oppressivi, per non dire letali, della burocrazia (e per estensione del potere politico) con evidente riferimento alla situazione italiana. E’ un’opera senza speranza dove tutto sembra già concluso, a partire dal rantolo iniziale e lo spettatore assiste all’agonia di un uomo devastato dall’attesa. L’orizzonte sonoro è monocorde e ossessivo e ripete con minime variazioni lo stesso disegno: uno sfondo luminoso dai frusci continui e aerei ,“le nuvole” - per citare la definizione di Sciarrino - che potrebbero preludere a una possibile apertura che però viene puntualmente negata da sonorità di “pietra” aggressive e ostinate che ribadiscono il divieto a entrare (le percussioni o il declamato secco dell’usciere).
Lo spettacolo di Johannes Weigand con scene e costumi di Juergen Lier convince per il minimalismo asciutto ed è costruito intorno alla porta, un’apertura rettangolare sul sipario che si dilata progressivamente svelando uno sfondo di luminosità grigia cangiante che sospende l’uomo, il guardiano e la sedia in un vuoto metafisico fuori dal tempo. Il progressivo dilatarsi del varco di luce scandisce il countdown verso la morte e, procedendo a ritroso, il suo lento assottigliarsi strangola letteralmente l’uomo.
Nella scena conclusiva i due postulanti cantano in contemporanea immersi nel buio, cala poi uno schermo su cui appare una “porta della legge” (videoproiezioni di Jakob Creutzburg delle cabine ascensori del Teatro Malibran) con dentro l’uomo; nella logica dell’iterazione e per enfatizzare l’aspetto universale del dramma le porte progressivamente si moltiplicano fino a invadere tutto il sipario muovendosi dall’alto verso il basso come ascensori o slot machines o semplici bare.
Molto credibili i tre interpreti, autori di un gioco teatrale tesissimo di grande precisione geometrica. I gesti infatti sono talmente scolpiti da apparire distorti, i profili enfatizzati con effetti grotteschi o ironici: la pancia dell’usciere arcuata a dismisura per esprimere l’oppressore, il postulante che si appiattisce e contorce al suolo come un insetto (citazione kafkiana) e si apprezza anche la “recitazione” delle mani, quelle smisurate e supplici dell’uomo o il dito dell’usciere puntato come una pistola.
Implacabile e beffardo il guardiano di Michael Tews nella postura come negli attacchi vocali ostinati e perentori. L’uomo ha la voce baritonale di Ekkhard Abele e quella del controtenore Roland Schneider il cui falsetto esprime nel contempo speranza e frustrazione.
Precisa e asciutta la direzione di Tito Ceccherini che ha saputo ricreare i diversi piani sonori creati da Sciarrino nel giusto equilibrio di “pietre“ e “nuvole”. Eccellente la risposta dell’organico che ha eseguito la difficile partitura senza alcuna sbavatura.
Decisamente buona l’affluenza di pubblico all’ultima recita che si è conclusa con sentiti (e doverosi) applausi a interpreti e compositore.