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LA PUREZZA E IL COMPROMESSO

Vita di periferia tra Testori e Visconti: un compromesso mancato

La purezza e il compromesso
La purezza e il compromesso © Elisa Nocentini

La purezza e il compromesso è una drammaturgia originale che si ispira, da un lato al mondo dei racconti di Giovanni Testori dall’altro alla lettura fatta di quegli stessi racconti da Luchino Visconti.

Dopo La Nebbiosa di Pasolini e I ragazzi del massacro di Scerbanenco, Paolo Trotti torna a raccontare la periferia della città, con i personaggi e le passioni che la abitano, nell’ultimo capitolo della Trilogia della Città, capolinea di un percorso attraverso l’Italia e i suoi mutamenti.
La purezza e il compromesso è una drammaturgia originale che si ispira, da un lato al mondo dei racconti di Giovanni Testori (in particolare, Il ponte della Ghisolfa), dall’altro alla lettura fatta di quegli stessi racconti da Luchino Visconti nel film Rocco e i suoi fratelli (1960).

Una trilogia mozzata

I protagonisti dello spettacolo sono due fratelli, Rocco e Simone, con il loro modo diametralmente opposto di affrontare la nuova vita nella grande città. Rocco (Stefano Annoni) mantiene inalterati i propri principi, senza mai abbandonare il desiderio di tornare nella sua terra d’origine; Simone (Michele Costabile), corrotto dalle possibilità di una ricchezza facile, rinnega, invece, il proprio schema di valori. A dividerli ulteriormente c’è Nadia (Margherita Varricchio), una femme fatale costantemente in bilico tra inconsistenti istanze libertarie e desiderio di rivalsa sulla società.
Diego Paul Galtieri, nel ruolo di Duilio, l’allenatore di boxe, rappresenta l’essenza pragmatica e infingarda del compromesso.

La recitazione e la modalità di rapportarsi al palcoscenico di tutti gli interpreti risulta adeguata al contesto e lo stesso vale per le scene e i costumi di Francesca Biffi, che descrivono effettivamente i mutamenti dell’Italia attraverso lo sguardo sulla vita della periferia occidentale in pieno boom economico. Ma nella scrittura scenica di Paolo Trotti, questa volta, qualcosa sembra non funzionare: a livello drammaturgico, manca quella forza comunicativa dirompente che ha caratterizzato i precedenti capitoli della trilogia.

Il tema del corpo come unico bene di scambio da proteggere è ancora presente, in questo ultimo sguardo sulla periferia, ma perde la sua centralità, finendo per essere semplicisticamente identificato con la forza bruta necessaria per emergere nell’ambiente della boxe. Inoltre, la marcata attualizzazione - ben oltre gli anni del boom economico - di temi come l’abbandono del paese d’origine, il trauma della separazione e la disgregazione di una famiglia diventano universali (talvolta, i protagonisti si esprimono come fossero immigrati provenienti dall’Est europeo), rendendo di fatto l’omaggio a Visconti e Testori (e la loro analisi delle periferie italiane) piuttosto forzato.

Visto il 08-02-2020
al Franco Parenti - Sala Blu di Milano (MI)