Una donna inglese, Gertrude Bell, si trova rinchiusa all'interno del palazzo reale in Iraq. E' assediata dai rivoltosi arabi. Comunica col governo inglese tramite telegrafo. La sua prima preoccupazione è di evitare un intervento cruento dell'esercito. Intanto ricorda i suoi trascorsi come donna di politica in un mondo di uomini, in una società fatta e pensata per gli uomini. A quest'anima si contrappone quella di una donna soldato nell'Iraq occupato dagli americani che deve confrontarsi coi cecchini che decimano i suoi commilitoni. Le paure della donna soldato si dividono tra perdere la propria vita e non tornare a casa da suo figlio di 8 anni al quale non sa come spiegare la scelta di un lavoro che l'ha condotta così lontano da casa e rischiare la vita. In un continuo contrappunto tra le due donne lo spettacolo indaga prima ancora che sui rapporti tra occidente e Iraq, dove gli errori del passato vengono miseramente ripetuti, l'essere donna ieri quando certi ambiti le erano preclusi (ai tempi di Gertrude Bell le donne non potevano nemmeno votare) e l'esserlo oggi.
L'impressione che se ne ricava è che le donne siano più pavide e fragili oggi di quanto non fossero ieri. Il testo infatti sembra insistere sula forza morale prima ancora che politica di Gertrud e sulla fragilità emotiva prima ancora che fisica della controparte contemporanea, la donna soldato che non sa conciliare il suo ruolo di soldato con quello tradizionale di donna (di madre).
Il testo di Massimo Vincenzi sa rimanere equidistante dalle giustificazioni anagrafiche di entrambe le donne, così come da quelle politiche delle scelte che hanno condotto la vita di entrambe, facendone personaggi del proprio tempo, Gertrud più emancipata e libera della soldato, sullo sfondo di decisioni militari, prese da uomini che, ieri come oggi, commettono lo stesso errore politico-strategico, con il popolo iracheno.
Non insistiamo su glosse che spieghino l'importanza storica di Gertrud Bell o i suoi rapporti con l'Iraq perchè faremmo torto a uno testo che non vuole essere di divulgazione storica ma, prendendo spunto da questo personaggio davvero esistito (poco studiato in patria come all'estero), fa della propria ragione drammaturgica il diverso approccio al mondo che le donne dimostrano sempre di avere e che, ieri come oggi, continua ad essere ignorato.
A dare corpo, voce e anima a queste due donne è una sempre più brava Francesca Bianco, reduce dal successo de Il sogno di Ipazia, che con il solo ausilio di due diversi registri interpretativi e della postura sa restituire due donne diverse, per storia e temperamento. Carlo Emilio Lerici le costruisce addosso una scena fatta solo di luci (splendide) che ne illuminano il viso, facendola apparire dal nulla (mentre alle spalle leggiamo i dispacci telegrafici di Gertrud o vediamo le vere immagini della Cnn della guerra del golfo).
L'assenza di una vera e propria scena si sposa perfettamente con le doti affabulatore dell'interprete che dalle donne irachene col velo, alla tigre che si aggira nel palazzo reale assediato, di ieri e di oggi, sa restituire situazioni e scene (grazie anche alle doti icastiche del testo) con l'impeto della sola voce. Francesca Bianco si concede con generosità in uno spettacolo affascinante che si fa vedere tutto col fiato sospeso fino alla sovrapposizione finale in cui le due donne diventano una e lo spettatore lascia la sala convinto di aver visto sul palco la vera Gertrud.
Fino a Domenica 10, al teatro Belli di Roma.
Prosa
LA REGINA SENZA CORONA
Uno spettacolo perfetto
Visto il
05-10-2010
al
Belli
di Roma
(RM)