«Torna al nido la rondine e cinguetta…» Che cos’è “La rondine” di Puccini, un’opera oppure un’operetta? Per Puccini, opera e basta, anche se la prima idea era partita proprio dalla proposta del Carltheater di Vienna - palcoscenico specializzato nel genere ‘leggero’ – di comporre qualcosa che si ispirasse ai lavori di Kálmán o Lehár, ma con dentro l’anima italiana. C’era ben riuscito Leoncavallo con “La reginetta delle rose”: perché non provarci, considerata anche la generosità del compenso? Le cose andarono diversamente. E’ pur vero che il plot de “La rondine” qualcosa deve al “Fledermaus” di Strauss jr. - lo scambio d’abiti tra padrona e cameriera - però assai di più ad un melodrammone di Massenet ricavato da Daudet, la “Sapho”, la cui trama viene ricalcata pari pari. E la partitura, giocata sulla ‘operettistica' contrapposizione tra la coppia sentimentale Magda/Ruggero e la coppia comica Lisette/Prinier, appare tutta intrisa di motivi ballabili; ma le similitudini finiscono qui. Alla fine Puccini segue come sempre il suo infallibile istinto, rinuncia allo schema recitatazione/canto/danza dell’operetta classica, e scrive «un’opera leggera, sentimentale e un poco comica, ma simpatica, chiara, cantabile, con piccoli valzer e con note allegre e attraenti», come spiegava all’amica Sybil Seligman, definendone la musica «leggera…e chiara come l’acqua a primavera».
Un’opera un po’ atipica, certo, ma pur sempre un’opera vera, presentata a Ravenna a fine di un tour partito da Lucca, con soste a Livorno, Modena e Pisa. Spettacolo invero nato qualche anno fa: ci piacque allora, appare valido anche oggi, con i bei fondali di Rosanna Monti che riecheggiano romantiche ambientazioni Art Noveau - sapientemente illuminate da Marco Minghetti – a trasporre tutta la vicenda ad inizio Novecento; ma il profluvio di mezze tinte anche negli abiti dei personaggi – sempre di Rosanna Monti - produceva una certa uniformità visiva che appiattiva un po’ la scena. Divertenti le proposte registiche di Gino Zampieri, tutte imperniate sulla spontaneità recitativa, e piene di garbato humour; evitando saggiamente – altro pregio degno di nota - di far cadere i personaggi nella trappola dei soliti clichés, come nella pur macchiettistica scena del Bal Bullier.
Il regista veneto ha avuto poi la fortuna di diporre d’un manipolo di interpreti spigliati e disinvolti, pronti a spianargli la via, cominciando proprio dalla deliziosa Magda di Francesca Sassu, adeguatissima dal punto di vista scenico come pure da quello vocale. La voce del soprano sassarese, in sé non è proprio fascinosa - per Magda servirebbe in verità una vocalità più calda e luminosa - ma comunque tutta l’esecuzione era convincente e calzante nello stile, con grande attenzione alla scrittura, e con filati molto belli e precisi nel racconto del sogno giovanile, la melanconica dolcezza di «Ore dolci e divine». Anche il tenore Marcello Vanucci – brasiliano ma di ascendenze, guarda un po’, lucchesi – sfrutta la sua imponente sagoma per delineare a perfezione la figura dell’impacciato provincialotto Ruggero, infondendovi una vocalità imponente e sicura, dal timbro tendente allo scuro, che pare non soffrire di limiti né in alto né in basso: con il rischio però – come nel finale – di cadere in eccesso di retorica, e inciampare in qualche imprecisione. Il rosolio che sgorga dalla amorosa coppia Magda/Ruggero è controbilanciato dai piccanti contrasti tra Lisette e Prunier, qui Chiara Pieretti e Andrea Giovannini, brillanti attori e buoni cantanti. Mai scenicamente banali, hanno ben miniato le loro parti porgendo una lodevolissima interpretazione del duetto del primo atto, tutta gioco di umori e di colori, anche per l’encomiabile attenzione alle battute rese con sottile umorismo. Tra l’altro, la voce da tenore lirico leggero di Giovannini contrastava efficacemente con il bronzo di Vannucci, così come la vocalità da soubrette della Pieretti era l’ideale contraltare di quella più piena della Sassu. Encomiabile infine la folta compagnia di comprimari, tutti indovinati: Francesco Facini rendeva un Rambaldo accigliato e signorile; Mirella De Vita (Yvette), Alessandra Meozzi (Bianca), Chiara Brunello (Suzy), Andrea Zaupa (Périchaud), Marco Miglietta (Gobine), Alessandro Calamai (Crébillon), apparivano ben calati nei rispettivi ruoli.
“La rondine” è partitura affatto minore, ricca di sottili umori, tutti centellinati dalla sensibile concertazione di Massimiliano Stefanelli a capo dell’Orchestra e Coro della Toscana. Leggerezza nell’accompagnare i cantanti, massima trasparenza nell’esaltare il lucido strumentale, seducente vaporosità nello sciogliere i molteplici cenni di danza – non solo valzer, ma anche tango, one-step, fox-trot – profusi a pieni mani da Puccini in questa partitura estremamente inquieta e variegata, presentata come al solito nella versione del 1917.