Torre del lago Puccini, teatro all'aperto, “La Rondine” di Giacomo Puccini
LA FRAGILITA' DEI SENTIMENTI
Portare su di un palcoscenico un’opera come “La Rondine” rappresenta per chiunque una piccola sfida, che richiede una buona dose di coraggio. Seneca nel De Beneficiis rimproverava agli uomini di dimenticare troppo spesso la propria fragilità e questo vale per chi prende in mano un oggetto così fragile come “La Rondine” di Puccini, continuamente sospesa tra la dolce fuga sulle braccia di un sogno e la brusca caduta del ritorno alla realtà, ininterrottamente tesa tra l’allegria della gioia di vivere e la tristezza della rinuncia: occorre maneggiarla con cura, con mani forte ma delicate, perché è difficile mantenersi in equilibrio su di una partitura che è musicalmente e drammaturgicamente “fragile”. Fragile è Magda, la protagonista, una donna di mondo che del mondo però sembra non conoscere fino in fondo i risvolti amari; fragile il suo amato, che da giovane di provincia si innamora di lei al primo sguardo, ingenuo al punto da non scorgere null’altro che un nome dietro il bel viso della sua amata; e fragili appaiono anche gli altri protagonisti, che si muovono in un mondo in apparenza consapevolmente frivolo e cinico, ma tutti quanti destinati inesorabilmente a fare i conti con la realtà dei sogni infranti. Soltanto Rombaldo - dal nome forte come il registro vocale che usa- quasi a riprova che l’eccezione conferma la regola, è cosciente dall’inizio alla fine di come gira il mondo e vede ed aspetta l’evolversi della situazione, fino a quando non avrà nuovamente riacciuffato la sua “rondine” fuggita dalla gabbia dorata che le aveva costruito intorno.
Ma proprio in tutto questo mondo apparentemente lieve e sospeso sta la bellezza di quest’opera: una bellezza dolce e sottile, quasi sconsolata, che nulla ha a che fare con l’acclarata tragicità di Tosca e Butterfly o con la struggente malinconia di Bohéme. Anche qui è l’amore a tessere le fila dell’intreccio, ma non è quello avvelenato dalla gelosia o ucciso dal ripudio: è l’amore adolescenziale del “Sogno di Doretta” – l’aria iniziale che è la vera chiave di lettura di tutta l’opera- ad essere esaltato, quello che tutti noi abbiamo provato in gioventù almeno una volta e custodiamo gelosamente in un cassetto perché sappiamo quanto possa essere “fragile”: quello che Magda finisce infatti per sbriciolare nell’inutile tentativo di riportare indietro la macchina del tempo del suo cuore.
Le splendide scene dai colori forti e nello stesso tempo delicati del pittore Nall fanno da giusta cornice a questi dolci sentimenti ed accompagnano lo spettatore sul tema della rondine, che da animale simbolo diventa metafora esteriore della trama; sono scene leggere ed eleganti che riempiono senza essere troppo presenti, perfettamente adatte al tenore della partitura.
Lorenzo Amato ha scritto di non essere d’accordo con i registi che vogliono “stupire a tutti i costi lo spettatore” e di non voler sconfinare nello “stravolgimento del libretto”: intento nobilissimo e certamente condivisibile vista la tendenza alla trasgressione ormai imperante, che sta diventando non solo stucchevole ma soprattutto banalmente convenzionale. Il nostro regista sembra però non aver colto che quella “fragilità” di cui abbiamo parlato (era forse necessario accentuare di più quei colori che sono già nel libretto, sottolinearne di più i caratteri, scolpire l’azione anche quando è solo abbozzata). La sua è una regia riuscita (uniche eccezioni i balletti, decisamente fuori posto e poco riusciti nell’intento di dare rappresentazione degli stati d’animo dei protagonisti, e della rappresentazione del Bullier, simile ad una licenziosa “corte dei miracoli” che esalta troppo banalmente la diversità del sentimento dei protagonisti rispetto alla “dissolutezza” degli altri avventori) ma il tutto manca di quel tocco di genialità che intriga e solletica il pubblico, che cattura lo spettatore perché va oltre l’ordinario. Occorre sottolineare ancora una volta che l’azione scenica che sta alla base del libretto certo non lo ha aiutato nel trovare slanci esteriori, ma un uso più esperto delle luci avrebbe senz’altro esaltato gli accenti dei protagonisti ed una minore prevedibilità dei movimenti avrebbe dato meno spazio alla convenzione.
Svetla Vassileva è una brava ed appassionata Magda nei toni tragici, con voce calda e sicura nei momenti in cui l’opera è più degna di questo nome; meno efficace nel primo atto, in cui c’è bisogno di una levità e di un’abilità in fase di passaggio che sembra non appartenerle ancora a pieno, in particolare nei momenti in cui la voce va ben modulata e non ostentata.
Fabio Sartori interpreta degnamente il personaggio di Ruggero, anche se un po’ costretto nelle azioni piuttosto scontate in cui lo fa muovere il regista: ci si aspetta esattamente tutto quello che fa, ma merita senz’altro l’attenzione del pubblico.
Molto più riuscite le interpretazioni della Lisetta di Maya Dashuk e di Emanuele Giannino in Prunier, decisamente più disinvolti ed a loro agio in quei panni, con il giusto grado di brio e disincanto che contraddistingue quei personaggi che forse, in alcuni momenti, sembrano troppo vicini ai ben più celebri Marcello e Musetta di Bohéme.
Buona la prova di Marzio Grossi nei panni di Rombaldo, nello scarso rilievo musicale che Puccini ha dato al personaggio
La direzione d’orchestra è apparsa efficace nel rendere la delicatezza languida che sta alla base della partitura, piuttosto carente di punte di eccellenza, che di per sé solo a piccoli tratti riesce ad avere reali slanci drammatici e lirici: ma la lettura di Veronesi ha saputo cogliere i momenti salienti senza esagerarne eccessivamente l’enfasi e l’orchestra ha accompagnato i cantanti senza sovrastarli.
Un’ultima annotazione riguarda la scelta di rappresentare l’opera nella versione del 1922, quella in cui è Ruggero -avvertito da una lettera anonima e dopo aver visto Magda in possesso del portafogli del ricco Rombaldo- a rompere l’idillio e ad infrangere il “bel sogno” della protagonista. La prima versione di Puccini pone Magda al centro della scena: è lei a rendersi conto di non poter continuare a sognare e che per questo sceglie di confessare la verità all’amato per poi abbandonarlo, consapevole che quel volo di rondine – mosso sulle ali del non detto e certo anche del voluto fraintendimento- avrebbe potuto costare molto caro a lei, ma soprattutto a Ruggero; in quella versione era Magda la protagonista dall’inizio alla fine, nel bene e nel male: una donna in fin dei conti coraggiosa, quasi fatta vendicatrice delle precedenti eroine di Puccini, che hanno subito il loro tragico destino, non l’hanno guidato.
E’ un peccato che si sia tralasciato questo aspetto di felice novità del libretto, per scegliere invece quella versione un po’ “borghese” in cui la punizione dell’abbandono e della solitudine del cuore colpisce dall’alto come una mannaia voluta dal destino chi ha osato volare “un po’ più in alto”; chi forse, pur non chiamandosi Violetta o Mimì, agli occhi di un pubblico un po’ “perbenista” ha comunque condotto una vita di non apparente e specchiata moralità e dunque andava punita coram populo e non dentro il suo cuore, dove nessuno poteva porre lo sguardo. Forse Puccini pensava in questo modo di elevare il tono tragico della vicenda avvicinandolo a quello di tante sue eroine così amate dal pubblico: in realtà ne ha scolorito il personaggio banalizzando il finale ad uno scontato “già visto”.
Visto a Torre del Lago Puccini, teatro all'aperto, il 16 agosto 2007
Mirko Bertolini
Visto il
al
Gran Teatro (all'aperto Giacomo Puccini)
di Viareggio
(LU)