Lirica
LA SCALA DI SETA

Via dei Teatri numero cinque

Via dei Teatri numero cinque

Parte da Cremona, per iniziare poi il tour che gli consentirà di toccare tutti i palcoscenici dei teatri di OperaLombardia, l’allestimento de La scala di seta firmato Damiano Michieletto, creato dal regista per il Rossini Opera Festival di Pesaro nel 2009 e riproposto dal Teatro alla Scala nel 2013.

Uno specchio sul fondo inclinato di 45° sul modello di quello proposto da Svoboda per la sua Traviata, sul palco il disegno del progetto di un appartamento (poi arredato durante l’ouverture da una serie di operai capitanati da un forsennato architetto), un’ambientazione a noi contemporanea con tanto di mobili di ottima fattura, muri e porte fittizie che gli interpreti fingono di rispettare, ecco gli ingredienti essenziali di un allestimento frizzante, curato nel dettaglio, la cui attenzione per la diversa psicologia dei personaggi fa divertire il pubblico e non consente momenti morti o di stasi. I protagonisti, portati in scena su carrelli e inizialmente immobili come statue, si muovono e destreggiano poi con scioltezza fra i vari ambienti della casa, costituiti da un’ambia zona giorno, munita di cucina, tavolo e divano, da una stanza da letto dotata di bagno e da un ripostiglio, vani tutti ampiamente utilizzati per ben mettere in opera quel continuo inseguirsi e nascondersi richiesto dal libretto. L’indirizzo dell’appartamento? Semplice, è scritto in calce alla pianta: via dei Teatri, n. 5.

Francesco Omassini, alla direzione dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali, stacca tempi piuttosto dilatati e dà una lettura lineare e molto composta della partitura cercando sempre di buttare un occhio attento al palcoscenico.

Bianca Tognocchi è una Giulia corretta e briosa, la voce, certo, è dotata di un volume non troppo corposo che talvolta stenta a sovrastare l’orchestra, ma il timbro è fresco, il fraseggio curato, il suono ben in maschera. Laura Verrecchia tratteggia una Lucilla che da segretaria algida e impettita presto si trasforma in tigre scarmigliata e sopraffatta dai sensi: lo strumento, dal retrogusto brunito, è di tutto rispetto e l’acuto s’innalza risoluto. Sul versante maschile spicca Leonardo Galeazzi nei panni di un Blansac ottimamente caratterizzato: la linea di canto è sicura e senza sbavature, il suono rotondo e ben timbrato, il fraseggio pertinente, l’emissione naturalmente sonora. Voce chiara e non enorme per il Dorval di Francesco Brito che evidenzia comunque una solida padrona del registro acuto e accenti appropriati che gli consentono di tratteggiare una figura di innamorato più che apprezzabile. Qualche lentezza nell’esecuzione delle agilità, ma strumento dal colore davvero gradevole per Filippo Fontana che interpreta con misurata comicità un Germano in versione cameriere filippino. Al loro fianco il buon Dormont di Manuel Pierattelli.

Visto il
al Sociale di Como (CO)