Nei primi anni di attività Giachino Rossini ebbe rapporti costanti con Venezia e, in particolare, con il Teatro San Moisè, per il quale scrisse ben cinque farse comiche. La Fondazione Teatro La Fenice ha deciso di rappresentare tutti questi lavori, avvalendosi della preziosa collaborazione degli allievi più valenti degli istituti artistici della città, nell’ambito del progetto “Atelier della Fenice al Teatro Malibran” inserito nel festival “Lo spirito della musica di Venezia 2015”. È così che, durante l’allestimento di Juditha Triumphans alla Fenice, al Teatro Malibran si sono succedute ben cinque recite della rara La scala di seta, affidata ad artisti perlopiù giovani, alcuni già affermati.
È il caso di Omar Montanari che ha affrontato il ruolo del pasticcione Germano, servitore di Dormont, mostrando tutta la propria abilità scenica e vocale, con pieno riscatto della partitura rossiniana. Montanari risalta il fraseggio sempre preciso e l’abilità encomiabile nello scolpire la parola nei recitativi. La diva Giulia, che spadroneggia indisturbata in scena, è interpretata dalla preparata Irina Dubrovskaya: il soprano siberiano si impone per timbro limpido e facilità in zona acuta, palesando affinità per questo repertorio e per la scrittura tardo-settecentesca e primo-ottocentesca. Al contrario, Rosa Bove tratteggia una Lucilla vocalmente non ben definita, benché la resa scenica la renda simpatica e piacevole. Giorgio Misseri, nei panni di Dorvil, esibisce un’emissione duttile ma spesso nasale e lievemente sbiancata in acuto, nonostante l’efficacia generale della prova. Claudio Levantino riscatta con la sua prestazione attoriale un Blansac leggermente arido per quanto attiene l’interpretazione. Poco riuscita anche la prova di David Ferri Durà, Dormont tecnicamente problematico.
La concertazione di Francesco Pasqualetti è parsa poco incisiva, cauta nell’introdurre intuizioni personali, fortunatamente accorta per quanto attiene le dinamiche.
Lo spettacolo si è avvalso delle scene, dei costumi e delle luci ideati dalla Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia (Fabio Carpene cura le scene, Sofia Farnea i costumi, Sara Martinelli le costruzioni, Jovan Stankic le luci e Riccardo Longo l’attrezzeria). Lo spazio scenico è stato completamente invaso da oggetti richiamanti gli anni Trenta del secolo scorso, con particolare predilezione per l’ambiente cinematografico americano, ricco di tante strane figure: appassionati, segretarie, raccomandati, perfino malviventi o meglio mafiosi. I colori e le luci colpiscono il pubblico, forse disorientando un po’ per la pienezza a volte arbitraria. La regia di Bepi Morassi sfrutta alcuni luoghi comuni che però non mancano di rendere i virtuosismi prescritti dall’intricato plot. Buon successo di pubblico al termine.