Nello scompartimento di un treno che proviene dall'inizio di un ‘900 di marca cinematografica quasi pre-Chabrol, il signor Arnolfo, alias signor del Ciocco/de La Souche, conversa con fare alterato con il suo interlocutore, e legge Le Figaro: Sin dall'inizio l'edizione della Scuola delle mogli allestita dallo Stabile di Genova concede la sorpresa di un ambiente di Molière che si preannuncia con toni diversi, sapientemente accentuati o sfumati: il Signor Arnolfo torna a casa, in una suggestiva e riuscita angolazione di un vicolo parigino, il Passage de la trinité, dove ha casa e bottega all'Orlogerie & Lunette di Chez Arnolphe.
Entriamo nel piccolo mondo borghese probabilmente simile (come tutti i mondi borghesi riescono ad essere in ogni epoca) a quello che rimase quasi scandalizzato, dopo la prima che Molière diede dello spettacolo, il 26 dicembre 1662 nel Teatro del Palais-Royal a Parigi: fine del teatro comico della divisione fra buoni e cattivi, dei trucchetti ed in buona parte dei cliché, ed ingresso di maschere con psicologie più complesse rispetto alla Commedia dell'Arte.
Ed a sua volta, Eros Pagni approfondisce il solco, mantenendo tesa una vena amara anche nella comicità dell'ispirazione, e trasforma sovente il riso in un moto interiore dell'animo che quando non si fa smorfia, crea sospensione emozionante, come nella magnifica scena del bacio in cui si sovrappongono due sentimenti del tutto opposti.
La storia racconta le note vicende pseudo amorose del signor del Ciocco, la cui unica preoccupazione è impedire in qualunque modo che sulla sua testa, una volta fatto il fatidico passo, spuntassero i due classici ed acuminati segni del tradimento, che per un ambientazione mentale e sociale come quella in cui vive rappresenta il massimo grado dell’intollerabile vergogna; suprema realizzazione di tale preoccupazione, è l’aver cresciuto sin da bambina Agnese (una bravissima Alice Arcuri) in una sorta di ottusa misconoscenza delle cose del mondo, tanto da ritenere di essersi perciò “fabbricato in casa” la moglie perfetta: idiota, incolta e servile. La summa di tanta dedizione alla causa è contenuta nelle famose dieci massime del matrimonio, ultima precauzione da far letteralmente studiare alla futura sposa, che tuttavia è ancora ignara di essere stata prescelta come consorte, se così si può dire, e che invece seguendo il corso della natura, cede inevitabilmente alle tentazioni di un giovane spasimante.
Le bellissime scene di Jean-Marc-Stehlé e Catherine Rankl si aprono e si richiudono sugli ambienti e sui sicuri appoggi verbali di un copione tradotto da Giovanni Raboni con una cura tale da lasciare inalterata l’eredità originale in versi, e tuttavia senza mancare della necessaria leggerezza.
Una bella prova complessiva della compagnia dello Stabile di Genova, che sfronda gli effetti comici e trova un distillato in cui travaglio e superficialità si compensano, e che perfino nell’improbabile finale -esso sì ancora erede della Commedia dell’Arte, con il suo Deus ex machina a risolvere l’inestricabile situazione che altrimenti avrebbe fatto vittime ben peggiori- si distende sia mantenendo la varietà di espressioni psicologiche di Arnolfo, sia gli accenti comici del momento conviviale, e fa ricordare ancor meglio che l’immediata critica che l'école des femmes ricevette a Versailles, perfino accusata di volgarità, probabilmente era il riflesso obbligatorio della reazione alle verità contenute, al disegno di un uomo che non sa o può accettare il suo viale del tramonto, e ad una commedia “nuova” che Molière seppe portare sul palcoscenico, nella quale mise finalmente in discussione l’ortodossia della separazione tra il serio ed il comico.
Prosa
LA SCUOLA DELLE MOGLI
Donne, a scuola. Dall'école.
Visto il
12-02-2013
al
Mercadante
di Napoli
(NA)