Lirica
LA SONNAMBULA

Bologna, teatro Comunale U…

Bologna, teatro Comunale

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Bologna, teatro Comunale UNA SONNAMBULA IN PSICOANALISI Il sipario si apre su una prospettiva sghemba, l’interno di un hotel di montagna, che subito si spacca e mostra alberi e frammenti di cielo. Amina legge un libro, ascolta Lisa cantare “Tutto è gioia, tutto è festa” e con la testa fa cenno di no. Continua a controllare quello che le succede intorno, che evidentemente non corrisponde a quanto narrato nel suo libro. I paesani allegri e colorati (nelle vesti e negli zigomi cerchiati di rosso) intonano “Viva! Viva Amina”, intorno a lei che invece appare disorientata, fragile, vestita di bianco, profondamente in ansia per quanto sta capitando (a differenza della rassicurante e romantica storia narrata nel suo libro). Amina continua a guardarsi intorno con aria stupita, incredula. A Teresa, la molinara che la raccolse bambina orfana, Amina rivolge un sentito ringraziamento, “Sovra il sen la man si posa”, per la gioia lancia verso l’alto alcune pagine del libro e chiede sostegno a Teresa per il passo che sta per compiere; la madre la abbraccia da dietro e la rassicura. Un forte vento autunnale, che fa turbinare foglie secche, annuncia l’arrivo di Elvino, un brivido corre nella schiena di Amina, mentre il cielo si fa buio e lanterne colorate si accendono sopra il coro che apparecchia per terra come per un picnic. All’aria di Elvino “Prendi, l’anel ti dono” Amina si scioglie i capelli, sempre col libro in mano. Amina vive in un suo mondo, una dimensione “favolistica”, non completamente reale né completamente onirica, ben rappresentata dalla scena e dalle luci, anche se a tratti sembra un po’ troppo il Paese dei campanelli. L’arrivo di Rodolfo e la sua splendida aria “Vi ravviso, o luoghi ameni”, trovano Amina addormentata per terra sopra il libro. Poi Amina apre gli occhi, sorpresa di ciò che le accade intorno: perfetto è il suo duetto con Rodolfo, che la abbraccia da dietro come prima la madre. Nella scena del presunto tradimento il fazzoletto del testo è diventato una calza bianca che Lisa si sfila sensualmente dalla gamba. Nel secondo atto tutti sono in gramaglie, l’atmosfera è totalmente mutata. Amina canta “Vedi, o madre … è afflitto, è mesto” sull’assolo di trombone che la sostiene. Nella scena di sonnambulismo, Amina cammina sopra la scenografia, sullo sfondo nuvole nere si rincorrono nel cielo. Alla fine Amina si sveglia, la scenografia si ricompone, è gioia generale, torna il notaio con il contratto di nozze ed è Elvino che, finalmente, abbraccia e rassicura Amina. Nello spettacolo del giovane regista Stephan Grogler (scene e costumi di Veronique Seymat) Amina è dunque una fanciulla fragile, felice ma inquieta nel passare dallo stato adolescenziale a quello di sposa; ella è una giovane adolescente borghese che si riposa delle sue fragilità in un albergo svizzero, mentre la madre è dedita ai preparativi del matrimonio. Amina osserva con inquietudine i preparativi e sente i doveri familiari come un’enorme pressione, a cui si sottrae rifugiandosi nella lettura di libri romantici. All’inizio Amina legge Sonnambula, si sente vicina alla protagonista, finendo per identificarsi con lei. Nel sogno, la realtà dell’universo vittoriano in cui vive, rigido e chiuso, comincia ad aprirsi verso nuovi orizzonti, mentre la scenografia si spacca e nello spazio architettonico dell’albergo comincia ad entrare la natura: aria, cielo, alberi, fiori. Il libro di Sonnambula accompagna Amina in tutto il sogno, cioè per tutta la durata dello spettacolo, fino al finale della storia, in cui ella rientra nella realtà quotidiana (rielaborata), svegliata dal suo incubo per iniziare una nuova vita futura: un risveglio che si può dire definitivo, che sancisce l’avvenuta elaborazione in chiave psicoanalitica del trauma del distacco dall’adolescenza e dalla madre e che appunto riconduce all’inizio dell’opera, anche come scenografia, con gli squarci che si richiudono. La protagonista assoluta di questo nuovo allestimento è Patrizia Ciofi (che ha sostituito Nathalie Dessay), tra i migliori soprani italiani dell’ultima generazione, che qui riesce a dare il meglio, tra virtuosismi e momenti di emozionante dolcezza espressiva. Grandi doti di attrice, una voce piena, matura, salda nei gorgheggi, estesa e modulata, nel corso dell’opera la voce della Ciofi vibra della profondità dell’amore infelice, sgorga dalle profondità di un cuore immeritatamente ferito, per poi farsi voce esultante di gioia totale e matura: mirabile nella melodia “Ah, non credea mirarti”. Vicino a lei un grande Michele Pertusi nel ruolo del Conte Rodolfo, bravo nella mimica, bel timbro di basso, emissione sicura, dizione scandita, il quale ha reso un Rodolfo bello ed autorevole, don Giovanni sì, ma più maturo ed umano. Invece Francesco Meli ha cantato con troppo volume e forzando esageratamente sulle note acute, risultando a tratti vicino alla stonatura, nell’ingrata parte del buzzurro innamorato Elvino. Nel secondo atto il tenore ha controllato un po’ di più gli eccessi acuti, evidentemente al di fuori della sua tessitura e, controllando l’emissione, la sua prova ne ha guadagnato, ma purtroppo è scivolato alcune volte, come in “Il più triste dei mortal io son per te”. Orchestra del Comunale diretta con maestria e sensibilità da Bruno Campanella, esperto di tale repertorio, che è riuscito a rendere perfettamente il profondo legame espressivo tra parole e musica. Alla fine applausi per il maestro e per tutti gli interpreti, qualche fischio per il tenore e pareri molto scettici per la regia, che non ha convito molti, ma che invece io ho trovato interessante, con chiari rimandi a Freud ed alla psicoanalisi, ma anche a tanto altro, da Alice nel paese delle meraviglie, alla Montagna incantata, alla coreografia dello Schiaccianoci di Rudolph Nureyev. FRANCESCO RAPACCIONI Visto a Bologna, teatro Comunale, il 22 gennaio 2005.
Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)