Verona, teatro Filarmonico, “La sonnambula” di Vincenzo Bellini
AH! M'HAI TOLTA IN UN MOMENTO OGNI SPEME DI CONTENTO
La sonnambula è un'opera strana, fortemente originale, un'opera semiseria che rappresenta un caso a sé nel panorama del melodramma, da un lato idilliaca e pastorale, dall'altro romantica e drammatica, mischiando genialmente l'idillio e la farsa con una sensibilità quasi romantica e ponendo al centro di tutto quel “puro” che aveva affascinato anche Eugenio Montale.
Hugo De Ana accosta il mondo del belcanto con il primo romanticismo, partendo dall'idea che in origine è stato un balletto. Non indaga risvolti psicanalitici (il sonnambulismo, l'incesto e altro) o inedite rivelazioni, ma racconta la storia di cui al libretto con purezza e passione, soprattutto con estreme eleganza e raffinatezza, non fini a se stesse, cioè non solo segno esteriore, bensì supportate da scelte registiche azzeccate e significative. Il risultato è uno spettacolo rarefatto, significativo e di emozionante bellezza visiva. Sembra di ammirare una teoria di dipinti, da Chagall a Redon, dai macchiaioli agli impressionisti ai simbolisti, con quei verdi e azzurri luminosi a profusione. E se la vicenda è senza tempo, qui l'epoca è ben definita, l'Ottocento, soprattutto nei sontuosi costumi. Che però è un tempo senza tempo, un tempo del passato. Rivelato dall'estrema raffinatezza plastica delle scene di insieme, quasi tableaux vivant. Complici anche le luci, che passano dal sole caldo e crepuscolare alla lunarità dei proiettori algidi a bianchi all'azzurrato notturno per le scene d'interno. I costumi dei coristi sono tutti (quasi) uguali, una cifra stilistica usuale negli allestimenti dell'argentino.
Il sipario che si alza rivela un prato ondeggiante come di verdi dune ed i coristi che guardano l'orizzonte con la grazia immota dei preraffaelliti. Il prato non muta, cambiano gli sfondi, montagne corrusche, tramonti infuocati, notti tempestose con un fantasma che veleggia. Cascate, monti rocciosi e nuvole, proiezioni così discrete e pertinenti da apparire quasi fondali che vengono sfogliati. C'è comunque l'idea della montagna, perchè chi entra in scena lo fa salendo dal fondo.
Di prim'ordine il cast. Eva Mei è stata una Amina fantastica, che ha mostrato funamboliche qualità vocali con apparente facilità espressiva e una agilità vocale incredibile. Tenera e dolce in “Come per me sereno”, in cui accarezza e bacia Teresa e rivela le qualità del suo animo, la sua felicità ingenua e fiduciosa ed il confidare nell'amore ricambiato (“Ah! Tu non sai quanta felicità riposta sia in un tenero amor”) pur nella timidezza (“Ah! Vorrei trovar parole a spiegar com'io t'adoro! Ma la voce, o mio tesoro, non risponde al mio pensier”). Il letto di Rodolfo su cui si sveglia la malcapitata Amina diventa uno specchio che invero non riflette la verità ma dà corpo a bugie ed illazioni. I virtuosismi di “D'un pensier e d'un accento” consentono alla Mei di sfoggiare registri perfetti e di chiudere il primo atto col duetto “Non è questa, ingrato core” in modo encomiabile. Dopo tali premesse l'attesa era palpabile per “Ah! Non credea mirarti”: qui peraltro Amina non corre un reale pericolo ma si adagia addormentata su un carro di fiori da cui viene ribaltata, come dal letto-specchio nel primo atto. E le attese sono state ripagate: voce sicura, fraseggio impeccabile, registri perfetti, squillo senza incertezze, vibrato controllato, insomma un'esecuzione da manuale che il pubblico della prima ha ripagato con lunghissimi applausi che hanno fermato lo spettacolo per alcuni minuti. Insomma Eva Mei ha reso un personaggio in modo intelligente e non scontato, indagando e presentando un'ampia gamma di sentimenti in modo misurato, elegante e credibile.
Antonino Siragusa è stato un Elvino insolito, anzitutto biondo e capelluto, poi molto passionale, quasi verista. Da subito, nell'aria “Prendi l'anel ti dono”, Siragusa impronta il carattere sanguigno del suo personaggio, mentre Lisa rimane sullo sfondo ma in evidenza con il labbro imbronciato (Ah! La rabbia mi divora. ... Sovente amore ha soave principio e fine amaro”). Di fronte all'incredulità di Amina (“Ingrato! E dir mel puoi? Occhi non ho né core fuor che per te”), Siragusa tira fuori sprazzi di gelosia accesissima ed i confronti con Rodolfo assumono il tono quasi di duelli. Efficace all'inizio del secondo atto “Il più triste de' mortali sono, o cruda, e il son per te”, con la voce venata d'amore e di malinconia.
Michele Pertusi ha vestito con sicurezza un ruolo che frequenta da anni e con successo, sia per prestanza fisica che per carattere. A Verona è stato un Rodolfo equilibrato e razionale, incline a vivere profonde emozioni con sentimento quasi malinconico. “Vi ravviso, o luoghi ameni” è interpretata con un sentimento avvolgente, lui in costume quasi napoleonico proietta da un cannocchiale sullo sfondo le immagini della sua infanzia, trasfigurate dal cuore e immalinconite dalla distanza da un passato che non può ritornare. Molto intimo e coinvolgente, autunnale, come le foglie del grande albero che campeggia in scena.
E' solo la seconda volta (dopo il Don Giovanni di Jesi) che ascolto la ventenne Alessandra Marianelli, semplicemente bravissima e molto bella, spigliata nella recitazione, vocalmente ineccepibile e precisa, come non ci si aspetterebbe per la giovanissima età.
Teresa era Paola Fornasari Patti: mi è piaciuta soprattutto in “Piano, amici; non gridate; dorme alfin la stanca Amina: ne ha bisogno, poverina, dopo tanto lagrimar”, dove l'intonazione della voce e la gestualità rivelano l'interiorità del personaggio e la protezione materna verso la protagonista di fronte ai villici che insistono “A tai fole non crediamo. Un che dorme e che cammina!”.
Con loro corretti anche l'Alessio era Victor Garcìa Sierra e il notaro Cristiano Oliviero. Orchestra diretta con mano sicura e padronanza della partitura da Patrick Fournillier; il Coro, che in quest'opera ha una parte rilevante, è stato ottimamente preparato da Marco Faelli.
Alla fine un uragano di applausi e un trionfo personale per la marchigiana Eva Mei. Meritatissimo.
Visto a Verona, teatro Filarmonico, il 12 gennaio 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Lirico
di Cagliari
(CA)