Prosa
LA STRAVAGANZA (E RICOSTRUZIONE DI ALTRI FATTI ANCORA DA CHIARIRE...)

Dopo aver debuttato l'anno sc…

Dopo aver debuttato l'anno sc…
Dopo aver debuttato l'anno scorso al teatro India di Roma, approda adesso al teatro Arvalia, nell'ambito della rassegna Mutamenti, La stravaganza, del giovane drammaturgo argentino Rafael Spregelburd, tradotto in italiano da Manuela Cherubini che ne ha prodotto, tramite la Compagnia Psicopompo, e diretto la versione italiana. Il testo, secondo capitolo dell’"Eptalogia di Hieronymus Bosch", vede in scena tre sorelle gemelle, interpretate tutte dalla stessa attrice, la magnifica Simona Senzacqua, segnate da un dramma familiare: una delle sorelle è morta subito dopo il parto e la madre ne ha adottata subito un'altra. Le tre sorelle non sanno chi sia l'estranea e questo dubbio ne ha minato fiducia e possibilità di un rapporto. Oggi vivono separate e senza rapporti nemmeno coi genitori. Una, esperta conduttrice televisiva, laurea in antropologia, disquisisce di fonemi interlinguistici, dal televisore (in un video che continua per tutto lo spettacolo) delle altre due sorelle, il cui audio va e viene autonomamente (il telecomando non funziona); la seconda è timida e paranoide, mentre la terza è più sicura di sé ma facile preda di attacchi di ira. La madre ha scoperto di avere una malattia mortale genetica, da curare con la chemioterapia, e il padre avvisa le sorelle di farsi visitare e curarsi anche loro (tranne ovviamente la sorella spuria). Lo spettacolo è un inanellarsi di telefonate, bugie, rimbrotti, litigi alternati dai discorsi della sorella televisiva fino al finale aperto che rivela, forse, una realtà diversa. A questo testo è stata aggiunto per Mutamenti un altro monologo, interpretato da Luisa Merloni, nel quale una ragazza racconta, alla madre morta, dell'incontro casuale col suo amato, che non vede più da 12 anni, resoconto durante il quale si capisce che c'è uno scarto tra come si vive le cose lei e come si sono svolti i fatti realmente... Nulla ci è dato sapere di questo secondo testo se non un accenno nel sottotitolo dello spettacolo che, dopo La stravaganza recita (e ricostruzione di altri fatti ancora da chiarire...). Una comunanza lo lega al testo di Spregelburd: la bravura delle due interpreti. Luisa Merloni recita il monologo rimanendo sul posto, per tutto il tempo, con una luce tenuissima, estremamente convincente nel suo modo di vedere le cose di chi deforma la realtà, mentre Simona Senzacqua riesce a interpretare le tre sorelle con una straordinaria capacità di modificare voce, gesti e postura. Quello che lascia perplessi però è proprio il testo. Concertiamoci solo su quello di provenienza certa. Le dichiarazioni di poetica del suo autore (e della sua traduttrice italiana) vogliono quest'opera come un anti-monologo incentrato nella denuncia della caduta dell’Ordine Moderno, e del caos che ne segue. In questo senso i sette peccati capitali dipinti da Bosch e trascritti in altrettanti drammi moderni dall'autore argentino di cui La stravaganza è il secondo capitolo, vogliono ergersi a testimonianza di un malessere contemporaneo che, per La stravaganza parte da una domanda che la sorella televisiva ripete continuamente: Chi ha scelto la forma famiglia come metodo di relazione tra le persone? Una domanda forte che affronta uno dei temi portanti delle società contemporanee (occidentali) che vedono da un lato il collasso della famiglia tradizionale, in famiglie monogenitoriali, tra violenze domestiche, stupri e incesti pedofilici, dall'altro il tracimare della famiglia tradizionale in nuove forme familiari, ampliate, non necessariamente legate da una unione sessuale ma anche da un sentimento altrettanto autentico di amicizia, vessate e misconosciute dalla società benpensante e dallo stato (con le dovute splendide eccezioni) quanto ormai diffuse e proprio per queste negate. Ma di tutto ciò, o di altro ancora, non c'è traccia nel testo di Spregelburd e la domanda posta cade così nel vuoto del già visto. La storia ha la fragilità (sicuramente voluta) di una telenovela. Come fa infatti la sorella spuria a somigliare alle altre due sorelle gemelle? Come è possibile per la madre adottare nel giro di due giorni una bambina neonata per sostituire la sorella morta? Che razza di malattia compare in età avanzata nella madre ma colpisce anche le tre giovani sorelle (quella televisiva scopre in diretta due noduli sotto un braccio...)? Capiamo il senso e ironico di voler criticare i drammi familiare, ma questa ironia ha un che di farraginoso che non porta a nessuno spunto critico nuovo o dal punto di vista inedito costringendo lo spettatore a faticare nel dare senso a un racconto frammentario senza soffermarsi davvero sui rapporti interpersonali. Non ci pare che i personaggi delle tre sorelle (ma forse una) siano così diversi da quelli di tante fiction televisive: cattivo rapporto con la madre, pessimo rapporto col padre, assenza di una vita affettiva autonoma (poco importa se con uomini o con donne...) queste tre donne sono le stesse donne fragili, bugiarde, competitive e isteriche, del più triviale clichè sessista e maschilista. La stravaganza ci pare una occasione mancata, uno spreco di talenti, un'ulteriore occasione per un uomo, un maschio, di concionare di caratteri e psicologie femminili. Questo è vero anche per il secondo monologo (che in sala ha sortito effetti ilari forse eccessivi) nel quale si ride di Luisa, la ragazza protagonista, e non con lei, presentando un personaggio che segue il clichè della ragazza che si lega al suo uomo come la cozza allo scoglio. Insomma dietro una forma drammaturgica interessante (ma farraginosa e con dei problemi registici nella scansione temporale dei fatti narrati...) ci sono sempre i soliti preconcetti e le solite considerazioni degli uomini, dei maschi, sulle donne, donne che ne avrebbero di cose da dire, quando parlano direttamente loro però, e non tramite una scrittura inesorabilmente maschile che, francamente, è venuta definitivamente a noia. Roma, teatro Arvalia, 21 Aprile 2009
Visto il
al Arvalia di Roma (RM)