Milano, teatro alla Scala, “La Sylphide” di Pierre Lacotte
IL SIMBOLO DEI NOSTRI SOGNI
La Sylphide, che debuttò a Parigi nel marzo 1832, è il primo balletto romantico, con un atto ambientato nel mondo reale ed un altro in un mondo di fantasia ed in entrambi un’occasione di ballo di fila e per solisti. Il libretto è basato proprio sulla contrapposizione fra il mondo del sogno e dei desideri e quello della realtà quotidiana e sarebbe servito da modello per innumerevoli altri balletti per tutto l’Ottocento. Lo stesso costume concepito per le Silfidi, un lungo, vaporoso e ampio tutù bianco con corsetto, maniche corte a palloncino e nastro sui toni dell’azzurro che stringeva la vita sottile, si sarebbe presto imposto come l’archetipo della ballerina tout court, fino ad oggi. La prima rappresentazione fu un trionfo, con le ballerine sospese in aria, sostenute da invisibili fili d’acciaio. Una magia che si ripete ancora oggi se nel secondo atto proprio la scena con le Silfidi che volano ha strappato un lunghissimo (meritatissimo) applauso a scena aperta all’esigente pubblico scaligero. Infatti il lavoro compiuto da Pierre Lacotte ha del miracoloso. Cercando materiale per uno studio sul balletto romantico, si imbattè nel testamento del nipote di Maria Taglioni (figlia di Filippo, celebre coreografo parigino del primo Ottocento, autore di La Sylphide, di cui si erano perse le tracce); continuando a cercare trovò i bozzetti delle scene e dei costumi, addirittura la partitura originale del primo violino con tutti i passi sotto il pentagramma, la corrispondenza con i collaboratori, gli appunti personali, i quaderni dei corsi e gli schizzi delle prove, le testimonianze dei ballerini che avevano lavorato con lui. Insomma tutti i dettagli della messa in scena, per cui nel 1972 per la televisione francese potè ricreare quel balletto, identico all’originale del 1832 (non la versione danese di August Bournonville, ininterrottamente rappresentata a Copenaghen dal 1836). Originale che poi è questo in scena alla Scala.
La musica di Jean-Madeleine Schneitzoeffer è gradevole e strettamente legata al racconto, i temi melodici sottolineano abilmente il carattere dei personaggi mentre il ritmo accompagna danze allegre, malinconiche o drammatiche. All’inizio i veloci arpeggi dei violini suggeriscono lo svolazzare delle Silfidi, mentre le trombe squillanti annunciano l’inizio della festa di matrimonio, accompagnata poi da richiami a reel scozzesi. Nel mezzo dei festeggiamenti l’arrivo della Silfide, invisibile a tutti ma non a James, è su un violoncello prima solista poi concertante, perfetta base a un complicato, simbolico e significativo passo a tre.
Protagonista assoluta è un’ammaliante Aurélie Dupont, che con grazia e lirismo personifica la Sylphide, le lunghe braccia morbidamente arrotondate, le mani espressive, il gesto-cifra stilistica di accennare un appoggio di dito al mento con l’altra mano a sostenere elegantemente il gomito: il sorprendente equilibrio, l’eleganza dell’esecuzione, la leggerezza immateriale, il riuscire a rallentare sensibilmente i tempi le permettono di esprimere anche le più delicate sfumature del ruolo, fino al tragico finale per causa dell’egoismo dell’innamorato. Accanto a lei Leonid Sarafanov è un James talentuoso e scattante ma poco affascinante; Antonella Luongo è una pudica Effie, Francesco Ventriglia una terrificante strega Madge, Vittorio D’Amato un Guru carico di sex appeal (addirittura superiore a James, Effie si consolerà presto dell’abbandono) e Piera Pedretti l’affettuosa madre di Effie. Nell’ottimo corpo di ballo il passo a due del primo atto è stato presentato da Antonella Albano e Maurizio Licita. Kevin Rhodes ha diretto con mestiere l’orchestra scaligera.
Davvero un bello spettacolo. Gli effetti dei macchinari scenici, i costumi, le scenografie: tutto contribuisce ad evocare l’atmosfera romantica in cui il balletto è stato creato. L’operazione, riuscita perfettamente, non dà il senso di un recupero museale, “archeologico”, tutt’altro, perché oggi emoziona ancora. Infatti la Sylphide è uno degli esempi più chiari e significativi del senso di inquietudine e di scissione interiore che scosse il periodo romantico, quando, dopo l’arido e razionale materialismo del Settecento, le passioni erano divenute più intense e c’era il desiderio di un mondo più puro ed autentico, poiché l’armonia ereditata dal secolo precedente era stata infranta. E quando le idee entrano in conflitto con la realtà l’esistenza non può più essere qualcosa di armonioso, oggi ancora più di allora. Significativamente la conclusione del balletto è tragica: nel momento in cui James appoggia la sciarpa che gli ha dato la strega sulle spalle dell’amata per catturarla e condurla nella sfera terrena, ella perde le ali e muore. In pratica è l’incapacità simbolica di James di conciliare nel suo animo gli opposti, la realtà ed il regno dei sogni e dei desideri. Egli non riesce a trovare equilibrio fra desideri e realtà nella propria esistenza. Argomenti attualissimi. La Sylphide riesce ad esprimere questo conflitto con molto ingegno e emoziona profondamente. Forse abbiamo ancora bisogno di credere che le ballerine possano davvero volare. O magari che un sogno sia ancora ammissibile, che un desiderio sia ancora realizzabile. Per questo la Sylphide riesce ancora a commuoverci profondamente, perché rappresenta il contrasto fra un tranquillo mondo convenzionale e una vita in cui cerchiamo di raggiungere e realizzare i nostri sogni. La Sylphide è ancora oggi il simbolo dei nostri sogni.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 17 dicembre 2005
Visto il
al
Cagnoni
di Vigevano
(PV)