Si fa sala a sipario aperto, la luce è unica, totale, illumina contemporaneamente sia la platea che il palco, unendo in maniera suggestiva le due realtà. Una giovane su un letto, a metà strada tra l'etereo e l'ospedale, domina la scena. E poi entra lui, Umberto Orsini, il grande protagonista dello spettacolo, sotto il cui occhio (o, per meglio dire, quello di Prospero), vigile e mobile, si svolge tutta la narrazione. Un attore dal nome sicuramente importante, ma che non offusca i suoi compagni di scena: piuttosto, vuoi per il personaggio, vuoi per la personalità del maestro, li guida per mano attraverso il tempo e lo spazio della drammaturgia, in maniera onesta, pacata e discreta, come se già conoscesse lo svolgimento e l'epilogo della vicenda. Shakespeare stesso, nella sua opera, è attento all'unità di spazio e tempo, creando così una pièce teatrale che si svolge in un solo pomeriggio: e le scelte registiche di De Rosa lo sottolineano. Sono scelte registiche che uniscono i luoghi della narrazione, come se l'isola fosse il centro di gravità delle magie e del potere soprannaturale, delle forze evocate e governate da Prospero, come se ogni cosa e ogni persona finissero inevitabilmente ingoiate dal buco nero della scena, centripetamente.
Non c'è possibilità di evasione. Nè ne "La tempesta" di Shakespeare, né nella regia di De Rosa. Tutto deve necessariamente tornare al centro, non c'è altra via d'uscita - forse è la vecchia storia del mondo. Ci sono riferimenti spazio-temporali, ma anche solo il fatto di essersi ritrovati in quest'isola fuori dal tempo contemporaneamente li nega. I costumi di chi arriva da fuori, ad esempio, hanno chiari connotati storici. Quelli di chi è sull'isola, no. Anzi, fanno l'occhiolino al contemporaneo, allo spettatore.
Chi è stato trapiantato sull'isola si è spogliato di tutto, ma non dei suoi ricordi, dolorosi, e dei suoi valori. Il tradimento e il successivo perdono - perché Shakespeare, alla fine della sua carriera, dà un segnale di positività - rimangono. Soprattutto il tradimento, tema così caro al drammaturgo inglese, causa dell'arrivo su quell'isola, isola su cui necessariamente bisogna arrivare, per la resa dei conti, per espiare.
Tema dell'espiazione che si vedrà, poi, anche in un'altra forte trovata registica: una riproposizione dell'Ultima Cena, che diventa anche platea da cui osservare la follia di chi fu carnefice.
Uomini che diventano animali, animali che diventano uomini: tutto questo si può trovare nell'opera di De Rosa. Particolarmente d'effetto, ad esempio, è la resa del personaggio di Calibano.
La rappresentazione, in toto, è discreta, e fedele allo spirito shakespeariano.
Alla fine, il monologo dello straordinario Orsini, che meriterebbe anche da solo la visione di tutto lo spettacolo: il monologo della rinuncia di Prospero alla magia, che è stato spesso visto come autobiografico, come il monologo dello stesso Shakespeare alla scrittura.
Visto il
24-11-2009
al
Eliseo
di Roma
(RM)