Grande attesa per l’apertura della nuova stagione del Teatro Stabile Di Napoli, quest’anno incentrata sul confronto Shakespeare-Beckett, e pertanto affidata al neo-direttore Andrea De Rosa, impegnato in un allestimento di uno dei testi più controversi eppure più rappresentati del Bardo “LA TEMPESTA”. Prestigiose firme registiche di cinema e teatro hanno trattato in passato l’opera senile del grande autore, tra i tanti ci piace ricordare Strehler, Greenway e Jarman, tre “director” che hanno saputo fare loro un’opera che appare inconsueta nel panorama produttivo di Shakespeare, essendo essa così poco incline alla coralità ed all’intreccio di cui sono espressione tipica gran parte delle sue opere. La vicenda, infatti, come è noto, si avvolge intorno a Prospero, Duca di Milano esiliato con l’inganno da congiurati capeggiati dal suo stesso fratello con la complicità del Re di Napoli, e tutto il micro o macro cosmo che lo circonda agisce unicamente per suo volere, come marionette di cui lui è unico marionettista. Si resta pertanto evidentemente perplessi nel riscontrare che intorno ad uno straripante Umberto Orsini-Prospero, il resto dei personaggi, compresi i il “mostro” Calibano ed il folletto Ariel, solitamente oggetti di grande creatività interpretativa per registi ed attori, scompaiono in una riduzione concentrata ancora di più sul protagonista. Apprezziamo molto la validità registica di De Rosa, che soprattutto in “Elettra” ma anche in “Maria Stuarda” ha dato prova di acume ed originale rispetto per il teatro classico, con la realizzazione di interessanti idee innovative, ma non possiamo non notare che l’operazione risulti eccessivamente reverenziale nei confronti del grande attore che in questo caso, inoltre, incontra un personaggio che, per dirla tutta, appare poco vicino alle sue corde interpretative. Infatti la prima parte dello spettacolo, che complessivamente dura appena 90’, risulta una rilettura pirandelliana o strindberghiana di Shakespeare, evidenziata non tanto dalla contemporaneità della foggia del costume di Prospero, in contrasto con i seicenteschi abiti di scena di cui sono abbigliati i naufraghi, quanto dalla ricerca di un tormento psicoanalitico (a cui non è esente nemmeno l’impostazione del personaggio di Calibano, reso con equilibrio da Rolando Ravello) tipico del teatro del primo novecento in cui Orsini è impareggiabile interprete. Come Prospero anche Miranda, Calibano ed Ariel (interpretato da un sacrificato Rino Cassano, a metà tra la citazione Strehleriana e gli omini di Magritte), si stagliano come nostri contemporanei, portandoci idealmente ad abitare con loro l’isola del naufragio, su cui troneggia un lettino da ospedale psichiatrico in cui Miranda, così come l’Amleto di Alessandro Preziosi vedeva il fantasma del re, nel delirio di un incubo vede il naufragio della nave dei congiurati. Un’isola in cui la magia descritta da Shakespeare si realizza in scena grazie ai sempre indovinati e suggestivi effetti sonori realizzati da Hubert Westkemper, ed in cui i naufraghi vagano con indolenza, ad eccezion fatta per il Re di Napoli interpretato da un eccellente Francesco Silvestri.
Lo spettacolo scorre con tiepida tranquillità fino ad un sottofinale in cui un’incomprensibile scelta registica (che non andremo a svelare) spezza una tensione che per fortuna Orsini, nello splendido monologo finale, riesce a recuperare con estrema bravura, riscattando una rappresentazione apparsa fino a quel momento onesta, ma senza suscitare particolari entusiasmi.
Visto il
21-10-2009
al
San Ferdinando
di Napoli
(NA)