Ci sono attori che il tempo sembra non scalfire, anzi, che dallo scorrere degli anni sanno trarre una linfa vitale destinata a segnare in modo indelebile le tavole del palcoscenico: Umberto Orsini continua a stupire, emozionare, lasciare attoniti grazie a una potenza fisica ed espressiva difficile da eguagliare. Diretto dalla sapiente mano di Andrea De Rosa, questa volta è Prospero, protagonista de La Tempesta, capolavoro shakespeariano denso di simbologie celate dietro una complessa sfera fantastica.
L’isola deserta è delineata da un palco spoglio con pochi elementi: rocce in terra a delimitare lo spazio, un letto disadorno al centro e un vertiginoso drappo rosso sullo sfondo, a coprire a scoprire personaggi e situazioni al momento opportuno. La messinscena gioca sulla violenta sollecitazione dei sensi, con momenti di penombra alternati a forti luci puntate sul proscenio, cui si abbinano rumori assordanti in rottura del costante sciabordio di acque (che accoglie il pubblico già a sipario chiuso).
Prospero di Orsini è claudicante, fiaccato dall’incalcolabile tempo trascorso sull’isola: la sua magia non è altro che il Teatro, la creazione di azioni e reazioni sul palco a cui tutti sono assoggettati. Come il più potente degli dei, o il più abile dei registi, il duca determina la tempesta che fa naufragare il fratello e la corte, guida i sogni e gli incubi della figlia Miranda (la delicata Federica Sandrini); tiene a bada il pietoso Calibano (Rolando Ravello), un giovane ripiegato su se stesso e tormentato da tic nervosi, e l’inquieto spirito Ariel (Rino Cassano), che, calato dall’alto con un’imbracatura, invade maestosamente la scena restando perlopiù sospeso in aria. L’anonimo e semplice abbigliamento moderno astrae la vicenda dal tempo e dallo spazio, fatta eccezione per i rigidi collari seicenteschi e la spiccata inflessione napoletana di Ferdinando.
L’aspetto magico non viene supportato da alcun effetto speciale, giacché l’incantesimo sta tutto nella rappresentazione: il monologo finale con cui Prospero dà addio alla magia è preceduto dal suo malore e dall’esplicitazione dei personaggi come componenti di una compagnia. Uno a uno scompaiono dietro il drappo rosso, Ariel è liberato e acquista dimensione (ben meno affascinante) terrena, il protagonista abbandona il bastone e, con la tirata conclusiva, scompare anch’egli nelle viscere del teatro.
Si resta a bocca aperta, impotenti di fronte a tanto vigore e inquietati dal non detto di cui lo spettacolo è denso; accanto all’immenso Orsini, spiccano certamente Cassano e Ravello, supportati da una valida compagine. I pochi momenti di impasse di cui la messinscena soffre sono efficacemente risolti dagli innumerevoli scossoni sensoriali ed emotivi che lasciano senza fiato, come se la trama ordita da Prospero avvolgesse anche noi.