Ancona, teatro delle Muse, “La traviata” di Giuseppe Verdi
TRAVIATA IN BIANCO E NERO
Mettere in scena Traviata dopo quella memorabile del Festival Verdi di Parma (ottobre 2007, direttore Yuri Temirkanov, regia, scene, costumi e luci dei coniugi Herrmann) pone inevitabilmente confronti. Alle Muse questo allestimento praghese è il piatto principale della stagione, ma solo per quanto concerne il pubblico perchè la critica è già stata ampiamente soddisfatta con l'insolito “Neues vom Tage” di Paul Hindemith (chi lo ha perso può recuperare in agosto al Lauro Rossi di Macerata nell'ambito dello Sferisterio Opera Festival).
La bella scena di Alessandro Camera è impostata su un ambiente unico per tutti gli atti, un ovale candido di altissimi muri, boiserie di legno anch'essa candida, un giro di divani, parimenti candidi. C'è del nero nelle orlature a vista e all'interno delle sezioni della scena, tre delle quali vengono spostate, come grandi fette da una torta: nel secondo atto slittano appena in avanti, nel terzo sono al centro. Nere le sedie e un tavolo a casa di Flora. Qualche elemento di colore a terra, verdi dollari nel primo atto come un tappeto rotondo, petali gialli nel secondo in guisa di una lama di luce che penetra dal portone spalancato. Suggestive le luci di Patrick Méeus, spesso di taglio.
I costumi di Carla Ricotti sono eleganti, realizzati con stoffe preziose e giocano con il bianco e il nero: nel primo atto sono tutti in nero, mentre Violetta è in bianco (ma la stoffa è operata tono su tono)e Alfredo è in spezzato, giacca nera e pantaloni bianchi. Poi prevalenza di bianchi, poi neri dominanti (brutto l'abito coi pantaloni a sbuffo enormi indossati da Violetta nella campagna) con qualche dettaglio a contrasto.
Ad un impianto scenotecnico bello ma freddo ha corrisposto una regia con poco calore. Arnaud Bernard si avvale degli stessi collaboratori del piacevole Falstaff del San Carlo (Alessandro Camera e Carla Ricotti), mantiene l'atmosfera rarefatta e l'adesione al libretto, ma non trasmette passione e si lascia andare a qualche ovvietà (Violetta canta “Sempre libera degg'io” strappandosi la collana dal collo) o a forzature (Alfredo rientra alla fine del primo atto e duetta con l'amata). Ma, come a Napoli, alla fine una bella intuizione: tutti sono concentrati intorno alla poltrona dove è seduta la protagonista morente e rimangono tali, anche quando lei si è alzata ed è in disparte, canta il finale e crolla a terra in solitudine, mentre gli altri sono ancora rivolti a quella sedia ormai vuota (il corpo è ancora lì ma non l'anima, volata altrove).
Christian Badea guida la Filarmonica Marchigiana in modo non omogeneo, sceglie tempi larghi per l'overture poi accelerazioni repentine. Ma quando c'è in scena la Devia è lei che detta legge e riporta i tempi giusti. Sull'esecuzione non si discute: è da manuale. La Devia non sbaglia una nota, non salta una nota, la voce è sicura, corre verso l'alto, s'insinua nel grave, scava dentro lo spartito per cogliere ogni minima vibrazione e renderla in modo impeccabile. Il fraseggio è morbidissimo e perfetto. C'era attesa per l'Alfredo del giovane Saimir Pirgu, soprattutto per la curiosità dell'essere stato scelto da Woody Allen come Rinuccio nel “Gianni Schicchi” di Los Angeles. Il tenore ha voce di colore bellissimo, ambrata; la dizione è buona, il legato deve essere curato maggiormente, il registro acuto è potente, venato di piacevoli scurezze. Viene mantenuta l'aria “O mio rimorso! O infamia” nel secondo atto, spesso inciampo per tenori famosi: Pirgu la affronta con l'acuto finale che però non squilla. Forse non in forma Luca Salsi, un Germont appannato. Tra i comprimari lo sguaiato marchese di Domenico Colaianni, che ne fa di tutti i colori con le donnine in casa di Flora, e il barone collerico di Andrea Porta, pronto a menare le mani per difendere Violetta, che sbaciucchia fin dall'apertura del sipario. Giorgia Bertagni è Flora, Patrizia Gentile è Annina, entrambe adeguate pur se non particolarmente incisive. Con loro Aldo Orsolini (il visconte), Alessandro Guerzoni (il dottore), Giovanni Maini (Giuseppe), Marcello Mosca (un commissario), Roberto Gattei (un domestico di Flora). Coro Lirico Marchigiano preparato da David Crescenzi.
Teatro gremito, pubblico rumoroso ed eccessivamente plaudente, spesso a coprire la musica. Intervalli inspiegabilmente lunghi, considerato che non c'erano cambi scena.
Visto ad Ancona, teatro delle Muse, il 5 marzo 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Delle Muse
di Ancona
(AN)