Le recite di questa Traviata, ripresa dell’allestimento che ha inaugurato la scorsa stagione (regia e costumi di Laurent Pelly, scene di Chantal Thomas, luci di Gary Marder), si intrecciano con quelle di un nuovo Rigoletto (da noi recensito). Laurent Pelly mostra, all’apertura del sipario, il funerale di Violetta in un giorno di pioggia, un corteo di persone in grigio con ombrelli aperti; Alfredo assiste in disparte e, d’improvviso, ricorda il passato in un flashback.
La scena si anima con una festa in un luogo che ricorda un cimitero, una discesa di parallelepipedi (inequivocabilmente tombe stilizzate) in uno spazio chiuso da due pareti laterali in che si restringono in prospettiva verso il fondo, dove si allungano le ombre. Un luogo per certi versi dechirichiano in cui la festa in atto appare decisamente incongrua e, sapendo il finale, più triste. Violetta è consapevole della propria bellezza e del potere di seduzione sugli uomini, che usa in modo spregiudicato. Veste un abito a balze fucsia che lascia scoperte le gambe inguainate nelle calze a rete; si diverte in modo eloquente, anche con Alfredo, accarezzato languidamente e provocatoriamente e baciato sulla bocca ripetutamente.
Il secondo atto è ambientato nella stessa scena ma trasformata da un tappeto verde di muschio steso sopra le tombe, taglio diagonale che mantiene il luogo cimiteriale sullo sfondo e il luogo dell'idillio amoroso in proscenio: l'amore è un'illusione? Violetta, con uno stacco notevole, veste pantaloni di taglio maschile e una camicia, è scalza e coi capelli sciolti.
Lo spettacolo non mantiene la tradizionale divisione in tre atti, ma prevede un’insolita pausa a metà del secondo atto, funzionale all'esigenza scenica ma meno logica. Durante la festa da Flora le zingarelle ballano come cubiste sui blocchi ed i parallelepipedi (diminuiti di numero e più ampi) si rivestono di superfici specchianti; troneggia un grande lampadario di vetro dalla linea déco.
La transizione dal secondo al terzo atto avviene senza soluzione di continuità e durante il preludio assistiamo alla trasformazione a vista da scena di festa a scena di morte: Violetta viene svestita dall’abito da sera da un gruppo di donne rimanendo in camicia da notte, mentre lenzuoli bianchi coprono i blocchi creando un’immagine di partenza o di trasloco. L'abito da sera viene passato sulle braccia alzate, come prima lo era stato il corpo della protagonista nel tripudio della festa: ora quel vestito incorporeo pare l'anima di Violetta.
Violetta muore completamente sola e nel cadere a terra, con un gesto carico di disperazione, tira giù un lenzuolo scoprendo la propria tomba di granito, chiudendo logicamente il flashback. E l’opera termina proprio qui, sull’esclamazione “Oh gioia“ della protagonista, con tale intensità da rendere inutili e quindi tagliate le battute successive.
Aleksandra Kurzak ci aveva convinto nelle Nozze di Figaro e nella Matilde di Shabran a Londra (recensioni presenti nel sito), un po’ meno nel Don Giovanni veneziano, ma ora questa Traviata ne riconferma le doti attoriali e vocali; il soprano, oltre ad avere notevole disinvoltura scenica e una recitazione sempre pertinente, possiede una voce limpida dalle agilità precise che le consente di risolvere senza incertezze il primo atto; convince anche nel corso dell’opera, poiché la voce lirica, seppur non particolarmente caratterizzata a livello timbrico, si piega mirabilmente alle necessità espressive, traducendo con sensibilità i diversi stati emozionali del personaggio; inizialmente superficiale e frivola, si fa sempre più sensibile con un’interpretazione sfumata e malinconica, sempre sorvegliata e senza traccia di enfasi, decisamente moderna.
Stefano Secco è interprete intelligente e sensibile e del suo Alfredo si apprezzano le doti di fraseggio e la capacità di trovare la giusta sfumatura vocale ed espressiva; se il registro centrale è pieno e ricco di colori, si avvertono maggiori difficoltà nella salita all’acuto. Autorevole ed eloquente il Germont di Fabio Maria Capitanucci, dalla voce morbida e ben calibrata. Chiara Fracasso è una Flora intrigante e falsa. Bene Enrico Iviglia nel ruolo di Gastone, come pure l’Annina di Bernadette Lucarini. Negli altri ruoli minori Paolo Maria Orecchia (Douphol), Seath Mease Carico (Marchese D’Obigny) e Dario Russo (Dottor Grenvil). Completano il cast Alejandro Escobar (Giuseppe), Marco Tognozzi (domestico di Flora), Marco Sportelli (un commissionario) e i ballerini Simona Tosco e Luca Alberti, che nel terzo atto portano fra le tombe per un istante la gioia illusoria del carnevale.
Il punto debole di questa edizione, rispetto alla precedente lettura di Noseda, è la direzione di routine di Patrick Fournillier, poco tesa e pulsante, che tende ad appiattire il gioco di dinamiche espressive proprie della partitura: certe pagine risultano prive di mordente, si ha l’impressione che i cantanti debbano trovare da soli la giusta strada interpretativa e anche l’orchestra appare meno compatta del solito.
Di rilievo la prova del coro dall’efficace coordinazione scenica, sempre preparato da Claudio Fenoglio.
Teatro esaurito, grande successo con interminabili applausi. La regia è stata ripresa da Laurie Feldman.