Lirica
LA TRAVIATA

La Schiavo sorprendente Violetta al San Carlo

La Schiavo sorprendente Violetta al San Carlo

Maria Grazia Schiavo è un’artista dotata di grande talento e di una grazia speciale. Da anni gli appassionati di musica ‘antica’ la apprezzano come raffinata interprete di Handel e di Pergolesi, di Vivaldi e di Jommelli, talvolta di Mozart e di Rossini. In tempi più recenti il soprano napoletano ha intrapreso con coraggio e intelligenza un graduale allargamento del proprio repertorio, toccando più volte Donizetti e giungendo oggi al Verdi di Traviata. L’appuntamento sancarliano non ha deluso le aspettative e anzi ha confermato la duttilità e la sensibilità della Schiavo. Proprio dalla lunga frequentazione del repertorio settecentesco sembrano provenire la pulizia delle linee, la trasparenza dei passaggi d’agilità, la disinvoltura nei salti. L’identità vocale di Violetta risulta tratteggiata con omogeneità, senza sbavature e senza incertezze. Il volume satura l’ampio invaso del teatro, la dizione è nitida, la gestualità è appropriata. Forse a questo nuovo orizzonte ottocentesco della cantante manca ancora qualche grado di profondità. La fiamma della voce, che costantemente brilla, talvolta sembra non riscaldare a sufficienza; o, per dir meglio, va salendo di temperatura nel corso della performance: se il grande soliloquio finale del primo atto è quasi più abbagliante che coinvolgente, il canto si fa più toccante nel secondo e trova accenti generosi, anche se sempre misurati, nella trasfigurazione del terzo. La riuscita della prova verdiana, salutata con grande calore dal pubblico napoletano, induce a formulare i migliori pronostici per ulteriori incursioni nella vocalità del XIX secolo e oltre.

Se l’attenzione maggiore della platea era concentrata sull’inedito cimento della Schiavo, non va taciuta l’alta qualità complessiva dell’intero cast. Il tenore rumeno Stefan Pop ha una voce calda e possente; al suo Alfredo si chiederebbe soltanto una maggiore naturalezza, visto che a tratti l’interpretazione è apparsa più adatta alla sala da concerto che al palcoscenico. Molto bravo Giovanni Meoni nei panni di Germont padre, personaggio spesso reso con monolitica severità e qui invece problematico, dialettico, ricco di sfumature e di inflessioni ottenute grazie alla ben calibrata varietà di emissioni. Fresca la Flora di Giuseppina Bridelli, precisa l’Annina di Marta Calcaterra. Accanto ai protagonisti hanno cantato Massimiliano Chiarolla (Gastone), Fernando Piqueras (il barone Douphol) e Italo Proferisce (il marchese d’Obigny); sobrio e di classe il contributo offerto da Francesco Musinu (il dottor Grenvil) nei momenti conclusivi del dramma.

L’ambientazione primo-novecentesca ideata da Ferzan Ozpetek nel 2012, ripresa senza grandi cambiamenti, avvolge l’azione nel languore di un crepuscolo esotico. L’atmosfera così fissata è assecondata dagli eleganti costumi di Alessandro Lai e dalle scenografie di Dante Ferretti. Belli il salone orientaleggiante su cui si alza il sipario e il giardino che fa da sfondo alle prime scene del secondo atto. Non convince del tutto l’esterno parzialmente nebbioso immaginato per il ricevimento di Flora. Nel terzo atto, infine, lo spazio è modellato soltanto dai coni di luce che spezzano a tratti l’oscurità.

Dal canto suo, Ozpetek conduce lo spettacolo secondo principi piuttosto convenzionali, se si eccettuano la proiezione che accompagna la sinfonia iniziale, in cui campeggia il volto (bellissimo) di Maria Grazia Schiavo, e le presenze mute che appaiono fugacemente prima dell’agonia di Violetta, fantasmi di un passato frivolo e svagato che va dissolvendosi nell’imminenza del trapasso. Stranamente statiche, per un regista cinematografico, risultano le feste, più inclini al tableau che all’azione; nel secondo atto, però, è toccante l’uscita di scena della protagonista che, volgendo le spalle al pubblico e agli altri attori, sale lentamente la vasta gradinata dopo l’umiliazione inflittale da Alfredo.

La direzione di Maurizio Agostini, subentrato a Nello Santi dopo le prime repliche, appare energica ed equilibrata. Se buona risulta l’intesa con i cantanti, il rapporto con il coro è segnato da qualche imprecisione negli attacchi o negli approdi, per effetto forse di una certa precipitazione richiesta dalla bacchetta del giovane maestro fiorentino.

Visto il 10-11-2015
al San Carlo di Napoli (NA)