Traviata, uno dei titoli più amati del repertorio, è stata spesso rappresentata a Trieste e ora viene proposta come titolo inaugurale della nuova stagione del teatro Verdi in una produzione della Fondazione Arena di Verona con regia di Stefano Trespidi e scene di Giuseppe De Filippi Venezia. L’allestimento, d’impronta tradizionale, ambienta l’opera all’inizio del Novecento in epoca liberty, ma, al di là della diversa datazione (peraltro opinabile), la produzione non ha pretese drammaturgiche e la regia si affida alle doti interpretative dei singoli interpreti.
Sulle note dell’ouverture vediamo Violetta davanti al sipario, seduta assorta a una scrivania mentre si fa acconciare i capelli con piume alla moda, il tendaggio si scosta e in sintonia con la progressione musicale irrompe un sontuoso salone delle feste disposto su due livelli con una doppia scalinata. La scena, se pur gradevole per i decori e le vetrate liberty, è fin troppo affollata e Violetta, così fragile e minuta, stenta a catalizzare l’attenzione fra comparse in abiti fruscianti che ballano il valzer, canapè rotondi di velluto rosso, donne ubriache che scendono dalle scale e camerieri in un continuo andirivieni più adatto a una Vedova Allegra che non a Traviata.
Nel secondo atto un interno con pochi arredi caratterizzato da una grande vetrata art nouveau suggerisce un padiglione di una villa di campagna; il palazzo di Flora, inizialmente in penombra e avvolto da una coltre di fumo, è ricco di citazioni di gusto floreale nelle decorazioni alle pareti come pure nelle suppellettili che impreziosiscono l’ambiente. Piuttosto approssimative e poco appropriate le coreografie delle zingarelle in costumi luccicanti e movenze da odalische.
Nel terzo atto il salone di Violetta è in parte coperto di lenzuoli bianchi per introdurre, come forse le valigie e le cappelliere sul pavimento, la dipartita della protagonista, che, abbandonata la sofisticata acconciatura, si presenta “al naturale“, coi capelli corti dal taglio maschile mentre giace morente sul canapè spogliato dei suoi velluti.
Mariella Devia, al suo debutto a Trieste, è una Violetta di classe e, anche in questa occasione, consapevole dei propri limiti e delle proprie potenzialità, dà una lezione di stile. La voce ha perso inevitabilmente lucentezza negli acuti, ma continuano a sedurre il legato d’alta scuola, l’inanellare le frasi senza cesure, la capacità di “cantare” anche i momenti di parlato. Una Violetta estremamente lirica che trova il suo apice in un “Dite alla giovane” di lancinante poesia, un “Addio al passato” giocato sui pianissimi e una “Parigi, o caro“ dalle emozionanti mezzevoci. Dal punto di vista interpretativo la sua Violetta, discutibile nel primo atto in quanto priva di quella frivolezza e comunicativa connaturati al personaggio, convince pienamente nei due successivi e ne esce una figura malinconica e sfumata, ma non per questo priva di temperamento ed emozione. Tutt’altro.
Alessandro Liberatore (che ha sostituito all’ultimo il previsto Alberto Profeta) è un Alfredo giovane di timbro gradevole, la voce ha dei limiti nel registro acuto e la tecnica è ancora da perfezionare, ma il personaggio è credibile e nei duetti con Violetta traspare giusto abbandono. Pierluigi Dilengite risolve il personaggio di Germont con voce sonora, ma priva di quelle sfumature che il ruolo richiede e nel confronto con Mariella Devia ne escono fuori i limiti di emissione. Discreta la Flora di Asude Karayavuz, piuttosto anonima l’Annina di Ilaria Zanetti. Alessandro Svab è il Marchese D’Obigny, Manrico Signorini il Dottore Grenvil. Fra gli altri comprimari ricordiamo Iorio Zennaro (Gastone) e Gianluca Margheri (Barone Douphol). Completano il cast Alessandro de Angelis (Giuseppe), Giuliano Pelizon (domestico) e Ivo Federico (commissionario).
Uno dei punti di forza di questa Traviata è averne affidato la direzione al giovanissimo Andrea Battistoni, talento emergente nel panorama musicale italiano che si è imposto all’attenzione di pubblico e critica in occasione del recente Attila a Busseto per il Festival Verdi. Il giovane veronese dimostra sorprendente sicurezza e capacità di controllo dell’orchestra nonché grande attenzione alle esigenze del canto.
La sua lettura di Traviata è funzionale, poco incline all’abbandono e allo spasmo febbrile, e, dopo un primo atto dai tempi piuttosto lenti e poco caratterizzato, cresce progressivamente in intensità ed ispirazione regalando un bellissimo interludio del terzo atto. Da seguire.
Precisa l’esecuzione dell’orchestra, buona quella del coro preparato da Alessandro Zuppardo.
Buon successo di pubblico per un titolo che fa il tutto esaurito in tutte le repliche.
L’opera è stata preceduta dall’esecuzione dell’Inno di Mameli, rigorosamente ascoltato in piedi in sentito silenzio.