Macerata, Sferisterio, “Traviata” di Giuseppe Verdi
BUTTERFLY-VIOLETTA: BIOLETTA
Traviata e Butterfly sono due “opere scritte in filigrana”, come ha bene evidenziato Carla Moreni nel corso di un aperitivo culturale presso gli antichi forni, nei sotterranei suggestivi del teatro Lauro Rossi. Infatti Traviata e Butterfly sono scritte una sulla carta velina dell'altra: quando le compongono Verdi e Puccini sono quarantenni (un'epoca in cui si fanno bilanci e riflessioni e si pensa alla vita in maniera diversa), entrambe sono tratte da pièce teatrali, le protagoniste sono prostitute, a loro si chiede un “sagrifizio”, le prime sono state un tonfo (a Venezia Traviata, a Milano Butterfly). Ma quello che le differenzia è che in Verdi non c'è mai identificazione con la protagonista (semmai con Germont): Verdi semplicemente guarda e racconta perfettamente, osservando ogni sfumatura. Non si può dire che Puccini sia Butterfly, ma certo c'è una maggiore identificazione.
Massimo Gasparon debutta nella regia di Traviata, autore anche di scene e costumi che situano la vicenda alla fine dell'Ottocento, negli anni fissati da Boldini nelle tele degli anni parigini. Gasparon accetta la sfida di misurarsi con uno spettacolo irripetibile, una pietra di paragone come la Traviata di Svoboda-Brokhaus (la “Traviata dello specchio”) ripresa più volte allo Sferisterio e in teatri italiani, ed inserisce nella scena uno specchio inclinato nel primo e nel terzo atto. Questa Violetta è profondamente sola, nell'ouverture si aggira nelle stanze della casa in solitudine, immersa nei suoi pensieri. E la presenza degli altri la lascia sempre indifferente. La scena è costituita da un elemento unico bianco che è interno e, con qualche cambiamento, esterno; poi, ruotando, rivela la parete rosso lacca e oro di una Filarmonica, dove è ambientata la festa di Flora. Le masse restano un poco statiche intorno alla pedana. Poco incisive le coreografie di Roberto Pizzuto del second'atto, con le signore elegantissime in lungo a fare i contenuti movimenti delle zingarelle.
Michele Mariotti debutta allo Sferisterio (forse un'emozione in più per lui che è marchigiano) e dirige la Filarmonica Marchigiana con ampie bracciate e mani coi palmi verso l'alto. La sua direzione è interessante, lontana dalla tradizione, scabra e, al tempo stesso, ricca di paste sonori, ma con tempi discontinui, che via via si allargano.
Mariella Devia è una Violetta molto sola, che poco interagisce con gli altri, una donna matura, la cui voce ha grande personalità e carisma e scolpisce il verso in modo mirabile, rendendo comprensibile perfettamente ogni sillaba; nelle sue arie è lei che detta i tempi e i modi, anche rallentando per usare al meglio una voce unica. Alejandro Roy (Alfredo) ha meno presenza scenica della primadonna, la voce è di grande volume ma poco controllata e povera di colori, tendendo a note sfocate, soprattutto nel registro alto (“Oh mio rimorso! Oh infamia!” viene chiusa senza do finale, scendendo di tono). Gabriele Viviani è un Germont dalla voce morbida e ben timbrata, sicura nell'emissione, ma l'interpretazione resta generica per la scarsa autorevolezza (risulta troppo giovane) e l'essere “ingessato” in un lungo cappottone. Con loro Gabriella Colecchia (Flora), Silvia Giannetti (Annina), Enrico Cossutta (Gastone), Giacomo Medici (il Barone), William Corrò (il Marchese), Luca Dall'Amico (il Dottore), Nenad Koncar (Giuseppe), Gianni Paci (un domestico), Loris Manoni (il Commissario), il coro lirico marchigiano, preparato David Crescenzi, non marginale nell'economia dell'opera, e la banda Salvadei come complesso di palcoscenico.
Teatro gremito, molti applausi, anche sopra la musica durante la rappresentazione.
Visto a Macerata. Sferisterio, il 25 luglio 2009
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Arena Sferisterio
di Macerata
(MC)