Potenza dell’immortalità dei classici.
Negli ultimi tredici anni al Teatro San Carlo è andata in scena ben cinque volte la TRAVIATA nello storico allestimento scenico di Giuseppe Crisolini Malatesta, originariamente diretto da Sandro Sequi, ed ecco che, in questo torrido giugno 2007, ad affollare la sala tappezzata di velluto rosso, i napoletani accorrono in frotta, tanto da registrare il tutto esaurito per tutte le repliche previste, pronti a commuoversi per la sfortunata Violetta Valery e le sue tragiche vicissitudini d’amore e morte.
Certo qualcuno è stato attratto anche dl nome popolarissimo di Massimo Ranieri, che firma la regia di questo che potremmo definire, con un linguaggio cinematografico, un remake, ma è sicuramente apprezzabile l’entusiasmo con cui pubblico di melomani o di semplici amanti di teatro, accorre nel teatro più antico d’Italia.
Già, Massimo Ranieri, dicevamo. Uomo di cultura teatrale e popolare di grande tradizione ed impegno, ma anche cantante, seppure di musica cosiddetta pop, di talento e tecnica non usuali.
Ma perchè un artista così apprezzato, bravo e di successo, ha accettato di firmare una regia dove non ha potuto fare altro che creare situazioni e caratterizzare personaggi in un vecchio contesto scenografico che non gli ha consentito libertà creativa?
Tutto ciò è ancora più misterioso, se si pensa allo spirito stoico con cui si è offerto ai fischi (secondo alcuni, tra cui lo stesso Ranieri, prevedibili e pilotati) del saccente pubblico dei loggionisti della prima, scandalizzati (incredibile!), perchè Germont era troppo intraprendente con Violetta, e perchè quest’ultima non muore nel suo letto di dolore, ma contorta da spasimi e tormenti fisici ed interiori nel salone della sua casa, ai piedi del suo Alfredo (ma Zeffirelli nel suo film non fece altrettanto, senza suscitare dissensi clamorosi)?
Questo mistero resterà irrisolto, a meno che non si pensi ad un intenzionale aiuto economico che col suo nome in cartellone di Ranieri ha voluto dare all’operazione, risollevando (anche se in maniera paleativa) gli incassi di un teatro che, ahimè, rischia una chiusura per deficit.
Ma Napoli non è generosa coi suoi figli, anzi ne è incredibilmente invidiosa, come sapeva bene Eduardo De Filippo, che all’ennesimo rifiuto di un sostegno per il ”suo” Teatro San Fedinando, gridò un addolorato invito a fuggir via dalla città matrigna.
Ritornando all’allestimento e agli interpreti dell’opera, diciamo che i limiti ci sono, e, come già detto, erano del tutto prevedibili. L’allestimento è di maniera: crinoline, drappeggi e scalinate, non offrono nulla di più rispetto a quanto già visto a riguardo. Dei cantanti, avendo assistito ad una replica in cui era impegnato il secondo cast, non si può non parlare dello splendido debutto napoletano del soprano albanese Ermonela Jaho, dalla voce intensa e limpida e che incarna in perfetta aderenza con le intenzioni registiche una Violetta poco più che adolescente (la Duplessy, dama che ispirò Dumas e quindi indirettamente Verdi e Piave, morì a soli ventitre anni), con una naturale voglia di vivere, espressa con energia e fragilità. La sua ottima performance ha suscitato più di un applauso a scena aperta ed una vera ovazione nei saluti finali. Poco aderente all’Alfredo giovane e sbruffone appare invece il tenore Dario Schmunck, che ha cantato con onesta normalità, senza picchi ne cadute. Ottimo invece il Germont padre di Albert Schagidullin, baritono potente ed espressivo. Senza particolari guizzi, infine, la direzione musicale di Yves Abel.
Sarà perchè il cast era diverso o perchè diverso era il pubblico, ma i fischi, in questa calda (non solo termicamente) replica sono stati massicciamente sostituiti da applausi e consensi.
NAPOLI, Teatro San Carlo - 23 giugno 2007
Visto il
al
San Carlo
di Napoli
(NA)