A Genova Traviata è stata scelta come opera inaugurale della stagione 2016-17 in un nuovo allestimento firmato da Giorgio Gallione, autorevole e collaudato regista di prosa genovese, coadiuvato da Guido Fiorato scenografo e costumista. In un impianto scenico che resta fisso nei tre atti domina protagonista un bianco albero secco, radicato in un pavimento di ghiaccio incrinato e specchiante, reso spettrale dalle luci di candele innestate sui rami spogli. Fin troppo evidente l’identificazione dell’albero isolato con il destino della protagonista, segnato da solitudine e morte precoce in quel “deserto popoloso che chiamano Parigi”. L’atmosfera funebre è ribadita da pesanti drappeggi neri che rivestono le pareti laterali mentre quella di fondo è animata da effetti luminosi di commento all’azione scenica. Così il rosso, colore della passione, illumina “Amami Alfredo“ e la fine del secondo atto, mentre nel terzo atto, immerso in una luce fredda in bianconero (puntuali le luci di Luciano Novelli), l’albero appare sradicato da terra, riflesso in uno specchio inclinato, metafora della fine. A parte la breve parentesi dell’idillio in campagna, una sensazione di gelo persiste nei diversi luoghi che si susseguono, tutti privati di arredi e oggetti, con lo scopo di ambientare la vicenda in uno spazio simbolico e antirealistico sospeso nel tempo per dare maggiore ampiezza, secondo le intenzioni registiche, alla rappresentazione dell’interiorità della protagonista. Rigorosamente neri i costumi per tutti, ad eccezione di Violetta vestita di bianco, a ribadire l’incombere della morte, come pure la presenza costante del Dottore e di Annina, sempre in scena fin dall’inizio dell’opera. E l’atmosfera resta gelida e mortuaria anche quando lo spazio scenico si anima con gli interventi del coro nei momenti gioiosi del brindisi e della festa con Zingarelle e Matadori: qui i costumi delle maschere sono affidati solo a due colori, il rosso e il nero, binomio inscindibile di Amore e Morte che la coreografia di Giovanni Di Cicco esalta evocando amplessi inquietanti e scandalosi dove figure femminili androgine si mescolano ad ambigui travestiti. Coreografie, scene e costumi sono coerenti con una regia antirealistica che non cerca il colore locale ma, in disaccordo con tale impostazione, ci sono sembrate inutili le controfigure di Violetta che, all’inizio e fine dell’opera, ne mimano la morte come pure la presenza nel primo atto di uomini in nero con ombrelli di maigrittiana memoria che preludono al funerale.
A Genova si sono alternati diversi cast; alla recita a cui abbiamo assistito il ruolo di Violetta è stato sostenuto da Maria Teresa Leva che ha sostituito all’ultimo la prevista Marya Mudriak: la voce è potente e di buon timbro, ma la tecnica va affinata nei passaggi e nella coloratura; la presenza scenica è comunque interessante e la cantante è cresciuta nel corso dell’opera. Inadeguato invece, sia dal punto di vista vocale che interpretativo, l’Alfredo di William Davenport: la voce è troppo piccola e si avvertono forzature nell’emissione. Decisamente meglio il Germont di Mansoo Kim, dalla presenza scenica autorevole accompagnata da una voce ricca di sfumature evarietà di accenti: non a caso il duetto con Violetta del secondo atto è stato uno dei momenti migliori della serata. Daniela Mazzucato è una Annina di lusso, bene il Barone di Paolo Orecchia. Fra gli altri ricordiamo il Marchese d’Obigny di Stefano Marchisio e il Gastone di Didier Pieri. Completano il cast il Dottore di Manrico Signorini, il Giuseppe di Giuliano Petouchoff e il domestico di Filippo Balestra.
Curata nell’accompagnamento delle voci e funzionale alla narrazione della vicenda la direzione di Alvise Casellati. Di tutto rispetto la prova di orchestra e coro.
Teatro esaurito e pubblico particolarmente partecipe e soddisfatto.