Traviata è da sempre uno dei titoli più amati del repertorio, tanto che nella storia del Teatro Municipale di Piacenza, dal 1856 a oggi, ha avuto l'onore di entrare in cartellone ben trentadue volte. L'allestimento che è stato scelto quest'anno per chiudere la stagione lirica del capoluogo emiliano vede Rosetta Cucchi alla regia, Tiziano Santi a curare le scene, Claudia Pernigotti ad occuparsi dei costumi ed è stato realizzato dal Teatro Comunale di Modena in coproduzione con i Teatri di Piacenza e Bolzano.
Rosetta Cucchi nelle note di regia dice di aver tratto ispirazione non solo dal dramma verdiano, ma anche da alcuni passi dell'opera di Alexandre Dumas figlio in cui Marguerite Gautier, il corrispettivo di Violetta, parla degli esseri umani come “creature del caso” che agiscono quasi mosse da un burattinaio invisibile. Ed è questo senso di solitudine e straneità proprio di un mondo ove tutti si muovono come monadi di leibniziana memoria che la regista vuole rendere palpabile e visibile al pubblico. Un'idea tutto sommato azzeccata, se si conta il fatto che tutti i personaggi che ruotano attorno a Violetta mostrano di non avere con lei un rapporto autentico e di non essere mai entrati veramente in contatto con il suo io più profondo, in primis l'amica Flora.
Quello che si può appuntare è però che nella realizzazione di tutto ciò non si sono notate idee particolarmente nuove o incisive, nonostante l'allestimento volesse essere ricco di immagini simboliche. Durante l'overture alcune ombre proiettate su un telo bianco svaniscono ad una ad una all'avvicinarsi di Violetta, ad eccezione di quella di Alfredo che finisce per porgerle un omaggio floreale. Un tema questo del fiore che fa da leitmotiv per tutto lo spettacolo, partendo dall'iniziale divano bianco a forma di camelia per giungere sino alla dipartita finale della protagonista che avviene sempre su un'enorme camelia grigia rialzata di 45 gradi alla quale ella si aggrappa disperatamente, non senza qualche sforzo di equilibrio, negli ultimi aneliti di vita.
L'alterità fra Violetta e il resto del mondo è sottolineata anche dai colori, ella è abbigliata con un elegante tailleur bianco dai larghi pantaloni, gli altri vestono tutti in nero, se si eccettua il verde brillante sfoggiato da Flora. Le movenze sono enfatiche, i personaggi si incrociano, si sfiorano ma quasi mai entrano tra loro in contatto, anche quando il libretto lo richiederebbe.
Scura è anche la scena, fissa, formata da tre ballatoi sovrapposti sui quali si muove il coro e nel finale, al momento della morte, sfila una lunga serie di donne a evidenziare come quella di Violetta sia un'esperienza che accomuna gran parte dell'universo femminile. Nel secondo atto fa la sua comparsa un albero appeso al soffitto con la chioma rivolta verso il basso il quale comincia a perdere le foglie nel momento in cui avviene il colloquio fra Violetta e Germont padre, finendo poi per ingabbiare la protagonista con i suoi rami, ormai nudi, durante la festa a casa di Flora dopo lo sprezzante gesto di Alfredo.
L'Orchestra Regionale dell'Emilia Romagna diretta dal maestro Pietro Rizzo non ha dato gran prova di sé in una esecuzione che, sinceramente, a tratti è parsa grossolana; dal podio sono stati staccati tempi troppo lenti e in molti punti la distanza fra buca e palcoscenico è stata più che evidente, fatto che non ha certo agevolato i cantanti.
Irina Lungu è un'affascinante Violetta dotata di una voce molto bella anche se con qualche opacità, la linea di canto non è però sempre impeccabile e vi è qualche eccessiva spinta in acuto. Nel ruolo di Alfredo un Giuseppe Varano che ci è parso in più punti forzare un po' la voce, probabilmente anche a causa di una sua annunciata indisposizione. Buono il Giorgio Germont di Carlos Belgasa, il timbro è scuro, la sonorità piacevole; Milena Josipovic nel ruolo di Flora tende invece ad ingrossare troppo la voce. Molti dubbi su gran parte dei comprimari.
In ogni caso il pubblico è parso gradire la performance ed ha applaudito tutti i protagonisti