Lirica
LA TRAVIATA

TRAVIATA NEOREALISTA

TRAVIATA NEOREALISTA

Il secondo titolo della stagione 2012 del teatro Comunale è La Traviata nel fortunato allestimento bolognese del 2010 per la regia di Alfonso Antoniozzi. Il grande successo di pubblico di due anni fa era dovuto senza dubbio alla presenza in scena della grande Mariella Devia, ma anche ad una produzione raffinata, poco costosa, che ha incarnato profondamente lo spirito del dramma verdiano.
Lo spettacolo è sempre bello, intelligente, curatissimo nella recitazione e nella definizione d'ogni personaggio, di gran gusto nel descrivere senza mezze misure, ma anche senza inutili provocazioni, un mondo profondamente corrotto e malato, con evidenti citazioni all'epoca della Dolce vita, fra cronaca, riferimenti felliniani e allusioni a Moravia.
Come ci ha confidato il baritono/regista, il sempre più pressante taglio dei costi impedisce di fare una Traviata tradizionale, come la intende il grande pubblico, ma il bello può essere messo in scena, a costi ridotti, con gusto e con nuove modalità. La lettura di Antoniozzi, infatti, rispetta la contemporaneità del debutto dell'opera di Verdi, andata in scena per la prima volta alla Fenice di Venezia nel marzo del 1853. L' ambientazione risale a qualche anno prima del Sessantotto . Gli anni in cui era ancora possibile che un padre preoccupato per la vita dissipata del figlio venisse in città dalla provincia, a implorarlo di cambiare vita per non disonorare la sorella in età da marito. Oggi, in un tempo che conosce il prezzo di tutto e il valore di niente, un fatto simile farebbe sorridere; il regista riesce in pieno nel rendere questa contemporaneità inserita in una società ormai alla fine del suo essere.
Non dimentichiamo poi che Antoniozzi è anche un cantante, profondo conoscitore dell'opera, e ha saputo valorizzare al meglio l'azione scenica dei suoi colleghi, oltre a ciò è anche un uomo di teatro, un intellettuale acuto che ha saputo scavare nel testo cogliendone la complessità ed evitando ogni soluzione scontata, sottolineando tutti i dettagli, le sfumature, i contenuti in ogni scambio di battute, in ogni gesto musicale, rispettando in pieno le dinamiche del libretto.

Il primo atto, impostato su un tono neorealista e cinematografico, è senz’altro il migliore di questo allestimento: il coro si muove in maniera naturale e divertente; l’idea, poi, di una festa nel giardino interno di una villa urbana in pieno stile razionalista (grazie anche alle belle scene di Paolo Giacchero) è coerente con il testo perché permette di situare il duetto di Violetta e Alfredo sotto il cielo stellato di una notte che sta per finire. Buono l’effetto delle luci di Andrea Oliva. Il secondo atto, forse il più “tradizionale”, è ambientato in una casa di campagna francese dell’alta borghesia parigina; di bell’effetto il bow window sullo sfondo, che permette di comunicare con l’esterno, forse un po’ troppo grigiore nella parete di fondo intristisce ancor di più il dramma che intercorre tra i vari personaggi. Commovente la scena dell’addio ad Alfredo in cui Violetta, ormai verso l’uscita, viene avvolta di una eterea luce bianca: l’idea di Antoniozzi che in questo momento Violetta si redime del suo passato con un atto d’amore straziante è pienamente riuscita e di grande effetto. La scena della festa in casa di Flora ricorda molto Eyes wide shot di Kubrik, con il predominio dei colori rosso, nero e bianco; scena tendente all’immobilità, ha una sua valida motivazione nella mentalità fissa, granitica della borghesia che assiste allo strazio di Violetta con superficiale noncuranza. La scena dei matador è caratterizzata dalla proiezione, in uno schermo, di un filmato amatoriale che, partendo dalla corsa dei tori di San Firmino, ripercorre con immagini ciò che il coro sta cantando. L’ultimo atto se da un lato lascia perplessi in alcune interpretazioni di Antoniozzi (lo sdoppiamento della protagonista già morta e l’idea del sogno di Violetta che in realtà morirà sola, intuibile solo dopo aver letto il programma di sala), dall’altro non può non colpire positivamente per l’effetto che riesce a rendere, per la nudità in cui Violetta muore, senza nemmeno un letto, povera e abbandonata, in uno squallore che mette i brividi, nel segno della totale emarginazione in attesa che la società le conceda una redenzione che non arriverà mai.

Valido il cast, con voci che hanno saputo farsi apprezzare nella loro eterogeneità, nonostante due sostituzioni dell’ultimo minuto. Nel ruolo del titolo Yolanda Auyanet, è riuscita a conquistare il pubblico bolognese con la sua voce morbida, la dolcezza del fraseggio e del timbro, i suoi pianissimi perfetti e una tecnica decisamente rara al giorno d’oggi; si è decisamente imposta sulla scena nel secondo e terzo atto, dando veramente un’ottima prova: i suo Amami Alfredo e Addio del passato hanno mandato in delirio il pubblico; ottima presenza scenica, è riuscita a rendere credibile una Violetta altamente drammatica. Il tenore Giuseppe Gipali è stato sostituito da Javier Tomé Fernandez nel ruolo di Alfredo; Fernandez è un cantante molto giovane, con poca presenza scenica; la voce è bella e sonora, ma la tecnica va migliorata, risultando carente negli acuti e nei pianissimi.
Il Giorgio Germont di Stefano Antonucci, padrone della scena, ha dimostrato di essere pienamente nel ruolo, con una voce discreta, anche se un po’ legnosa. Ricordiamo i tanti comprimari, tra i quali emergono per la calda e importante voce Masashi Mori nel dottor Grenvil e Christian Faravelli (Obigny). Gli altri: Giuseppina Bridelli (Flora), Silvia Calzavara (Annina), Vladimir Reutov (Gastone), Mattia Olivieri (Duphol), Luca Visani (Giuseppe), Sandro Pucci e Marco Danieli, complessivamente più che discreti.

La direzione affidata al maestro Michele Mariotti è stata superlativa, dando una lettura dell’opera efficace, drammatica e sensuale allo stesso momento; guida ferma e coerente alla direzione dell’orchestra del Comunale ha dato prova di una maturazione proficua e di rigore interpretativo, mai troppo esuberante. Splendida prova per il coro del Comunale diretto da Lorenzo Fratini.

Un teatro esaurito, nonostante fosse la sesta serata, ha visto un pubblico positivamente critico e partecipativo. Ha applaudito fortemente, anche a scena aperta, la Auyanet, tributandole una vera e propria ovazione; così pure per il maestro Mariotti che, vuoi per la bravura, vuoi per la giovane età ha conquistato appassionatamente il pubblico bolognese. Una bella e riuscita serata che fa ben sperare per le sorti del Comunale.

Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)