Lirica
LA TRAVIATA

Traviata salvata dai cantanti

Traviata salvata dai cantanti

L'allestimento di Traviata andato in scena al Lirico di Cagliari è quello ideato dai coniugi Karl-Ernst e Ursel Herrmann, realizzato nel lontano 1987 per la Deutsche Oper am Rhein, il Theatergemeinschaft di Düsseldolf-Duisburg e il Théâtre de la Monnaie di Bruxelles.  Avevo già avuto modo di vedere questa regia nel corso del Festival Verdi a Parma nel 2007: non mi aveva convinto all’epoca e non lo fa neanche oggi. A parte alcuni cliché francamente abusati (Violetta che nel “sempre libera” si comporta come una bimba isterica che tira, infrangendolo, un flute contro la sua immagine riflessa nello specchio), l’allestimento oscilla tra l’inutilmente volgare (vedasi i nudi che risultano francamente di dubbio gusto nella scena delle zingarelle e dei toreadores) e il grottesco (il dottor Grenvil vestito da Pulcinella nell’atto finale e al capezzale di Violetta resta un mistero). Resta anche da capire perché tante volte i cantanti, anche in momenti cruciali, diano le spalle all’interlocutore (accade nel duetto Germont padre-Violetta o addirittura tra Alfredo e Violetta nel "Parigi o cara"), o siano costretti a cantare in posture a dir poco impervie (la povera Violetta che nel finale del primo atto canta arrampicandosi sul tavolo infine distendendosi in pose improbabili).


Nonostante la regia, questo spettacolo riesce comunque a restituirci tutta la cifra dell’universalità del messaggio verdiano. La Traviata è prima di tutto una storia d’amore che vive la sua tragicità in quanto calata in un contesto bigotto e ipocritamente moralista. Una storia d’amore vissuta con coraggio contro i pregiudizi e come sfida e antidoto alla solitudine profonda dei personaggi. Il successo dello spettacolo del  Lirico di Cagliari sta tutto nella capacità di restituirci nella sua pienezza proprio l'intimità della storia d’amore. Il merito va ascritto in primis all’Orchestra diretta con sensibilità e attenzione al canto da Donato Renzetti. Se proprio un appunto deve essere mosso, lo faccio ai volumi forse un po’ eccessivi nel disperato “amami Alfredo” di Violetta e nei tempi un po’ troppo concitati del bellissimo concertato finale dell'atto secondo. Ma nel complesso la lettura della partitura Verdiana è vibrante di emozione, in una parola  palpitante.


Poi va sottolineata la qualità di un cast giovane e brillante che ha contribuito in maniera decisiva a raccontarci questa meravigliosa e tragica storia d’amore. Eccellente la Violetta di Irina Lungu, in tutte le sfumature e le fasi dell’opera e, anche se alcune agilità o acuti non resteranno scolpiti negli annali della lirica, resta una interpretazione che ci restituisce con sentimento e appassionato coinvolgimento l'evoluzione caratteriale ed emotiva della protagonista, la sua solitudine, la sua incredulità, la sua felicità e strazio poi, infine il suo addio disperato alla vita. Francesco Demuro è probabilmente l’Alfredo più comunicativo che ci sia in circolazione: anche se a volte si lascia prendere la mano quando la partitura consente di dare sfoggio ai “polmoni”, ci restituisce un personaggio sincero e quasi infantilmente ingenuo, che forse per questo vive con grande dolore l’abbandono di Violetta (resta il limite di una regia che in alcuni passaggi cruciali riesce a ridimensionare e mettere sotto ghiaccio il pathos e l’emozione del cuore innamorato del giovane). Non lo stesso giudizio positivo mi sento di esprimere per il Germont padre di Vittorio Vitelli: anche a voler attribuire gran parte dei limiti al trucco (che lo fa sembrare al più il fratello di Alfredo), resta comunque il limite di una certa piattezza interpretativa; il ruolo richiederebbe passaggi a volte sussurrati, a volte insinuanti, a volte sconsolati a volte all'insegna della protervia, un passare dall’ira, alla sorpresa e infine alla umana pietà per il sacrificio della protagonista: tutte queste sfumature non vengono restituite da un canto complessivamente corretto ed equilibrato ma che alla fine emoziona poco perché non caratterizza tutti questi differenti accenti del personaggio. Nessuno dei comprimari brilla particolarmente. Il coro è puntuale, ordinato e riesce nella a volte non facile missione di sottolineare l’assoluta solitudine dell’eroina pur circondandola con danze e coreografie che chiamano le masse a prestazioni quasi da saltimbanchi.


Alla fine ovazioni per la protagonista e calorosissimi applausi agli altri protagonisti principali. Teatro esaurito in ogni posto.

Visto il
al Lirico di Cagliari (CA)